Fuori dal Vinitaly!
A un mese di distanza dagli appuntamenti fieristici nazionali dedicati al mondo del vino, pubblichiamo un report critico sulle manifestazioni di nicchia a cui ci sentiamo maggiormente legati. Una bella quarantenne maremmana (vite ovviamente!) ci sembrava il miglior modo per introdurre l'argomento. Continua il viaggio enologico.
Il Maiale Ubriaco presenta Enrico Bachechi, enologo con la V maiuscola.
Critica-Critical!
Immaginate un Vinitaly senza il caldo infernale dei padiglioni in cemento armato, con i vini alla giusta temperatura e non sulla soglia della pastorizzazione, senza i sorrisi tirati dei produttori, quando ci sono, o più facilmente delle stendiste, che prima di darti un bicchiere ti chiedono chi sei, che fai, da dove vieni, hai un biglietto da visita?
Qui invece nessuno ti chiede niente, si versa il vino senza indugiare, ci si parla tranquillamente, senza cravatte claustrofobiche o scollature debordanti; le persone dietro ai tavoli hanno facce normali, vestono normalmente come tutti i giorni, spesso hanno anche le mani sporche, o meglio macchiate, dalla terra, dall’olio del trattore, dal vino. Immaginate un Vinitaly senza tavolini appartati con noiosi compratori giapponesi o americani con gli occhi a mezz’asta, ormai al cinquecentesimo vino - tutti e cinquecento regolarmente sputati - che appena entrano loro nello stand tu rimani solo e te ne devi andare. Qui non ci sono trattative, si tratta solo per il gusto del vino e difficilmente ti viene voglia di sputarlo.
E poi ci sono i vini: ma qui si devono dimenticare le classiche regole imposte dall’industria del vino e veicolate dai sommeliers, dalle guide, dalle scuole, dalle università, dalla scienza ufficiale insomma. Fuori dal Vinitaly un vino può non essere del tutto limpido, può puzzicchiare un pochino, può avere la volatile che sfiora il grammo/litro, può essere un po’ ossidato, può avere sentori di Brettanomyces, ma comunque essere un grande vino. Si scopre che si possono fare grandi vini bianchi senza controllarne la temperatura di fermentazione e magari lasciarli macerare sei mesi sulle bucce e magari anche in un’anfora interrata. Tutto questo però si scopre solo fuori dal Vinitaly.
Il vino si fa sì con il vitigno, con il terroir, con la cantina, si fa con tante cose ma la più importante è che il vino che noi versiamo nel bicchiere sia vivo, in grado di trasmettere la sua personalità, la sua originalità rispetto agli altri. Questi vini non marciscono nei magazzini o nelle superofferte al supermercato, la maggior parte di questi vini è venduta anche prima di essere imbottigliata.
Un terreno che non conosce chimica, uve che non abbiano subito la violenza dei prodotto sistemici e dei lieviti selezionati chissà dove; vinificazioni senza additivi né trattamenti di varia chirurgia estetica: solo così oggi si può fare un vino che sia credibile.
La strada della qualità, al di là dei dogmi, dei comandamenti o dei decaloghi è già segnata. Questi vini hanno creato una spaccatura che difficilmente si potrà richiudere.
Critical Wine/Terra e libertà (Centro Sociale Occupato Autogestito La Chimica, piazza Zagata, Verona)
Il primo movimento che ha avuto il coraggio di portare alla luce in modo chiaro e politico il problema vino, per la prima volta a Verona, con grande successo, quattro anni fa. Adesso si chiama Terre ribelli/critical wine, tanto per chiarire che si muovono anche le parole e non solo le idee.
Da un’invenzione di Gino Veronelli nasce come movimento nei Centri Sociali legato ad alcune idee come quello del “prezzo sorgente” da indicare in etichetta per impedire gli assurdi ricarichi sul vino e le “De.Co.”, Denominazioni Comunali che per semplice delibera dei consigli comunali valorizzano e tutelano i giacimenti gastronomici del proprio territorio.
Dalla morte di Veronelli il movimento ha sicuramente perso parte della forza che gli veniva dal carisma dell’ideatore: molti produttori, soprattutto quelli più di fama, o aspiranti tali, si sono velocemente eclissati ma fortunatamente altri si sono aggiunti con grande entusiasmo. Critical Wine rimane sempre un luogo di dibattito e di aggregazione unico nel mondo del vino, anche se il movimento si allarga sempre più verso lotte fatte per la tutela e la salvaguardia dei territori rurali. I locali fatiscenti del CSOA “La Chimica” creano un’atmosfera surreale in cui convivono armoniosamente contadini appassionati, punk con mute di cani al seguito, adolescenti attratti dal vino buono e al giusto prezzo, enointellettuali eternamente divisi tra nebbiolisti e sangiovesisti. Tutti però rigorosamente con calice in mano, un po’ barcollanti ma con aria da grandi intenditori.
Anche se di prezzo sorgente non si parla quasi più (chi ha mai visto un vino con il prezzo in etichetta?) e le De.Co non de-collano, Critical Wine rimane la voce più libera nel mondo del vino, slegata da ogni etichetta o logica di mercato: ci si va perché ci si crede. E basta. Da seguire attraverso il sito www.criticalwine.org gli appuntamenti che si susseguono nel corso dell’anno in giro per l’Italia.
continua...
Enrico Bachechi
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