venerdì, luglio 14

uno strano morso ovvero sulla fagoterapia e altre ossessioni per il cibo



Un luglio tremolante. Fatto di umidità. Pioggia e sole. Quando rinfresca mi vengono in mente legumi e carni. Quando rientra il caldo insalate. salse fresche e crostacei. Penso al mio socio e alla sua ultima ricetta… i tentacoli del polipo sono il fil rouge (il rosso perla dei tentacoli) che connette il Golfo di Napoli all’Inghilterra. Accendo il pc. Apro la posta del Maiale.. tra i tanti un messaggio. Una segnalazione mi colpisce. Le prime parole che leggo sono “fagoterapia” e “ossessione per il cibo”. La radice. Fago (dal greco phagos – phagein) cioè “che mangia”. “mangiatore” ha qualcosa di affascinante. tribale e spaventevole insieme. Così passo alcuni minuti colla testa per aria a girarci. pensarci intorno. Si tratta di un romanzo. Il romanzo d’esordio di Massimo Roscia il cui titolo è per l’appunto “Uno strano morso ovvero sulla fagoterapia e altre ossessioni per il cibo” edito da Edizioni della Meridiana di Firenze (www.edmeridiana.com).
Il volume è stato presentato in anteprima nazionale sabato 20 maggio 2006 a Frosinone e sta già facendo registrare numeri importanti in termini di gradimento del pubblico (oltre 500 copie vendute nel solo capoluogo ciociaro in meno di un mese!). Dal 20 luglio il romanzo sarà distribuito dalla Dehoniana Libri Spa in tutte le librerie d’Italia. Conviene precisare che il libro è già disponibile su www.bol.it - www.ibs.it e sugli altri cataloghi online. Ma andiamo a conoscere l’autore. Cito testualmente dal comunicato: “Quarantatre anni. venditore di manuali della fortuna. Cinico. dissacrante. pigro. abitudinario. accanito fumatore. umorale. ansioso. a tratti nevrotico. esempio vivente di assoluta diseducazione alimentare. La sua esistenza sarà completamente stravolta quando conoscerà Franco Brenda. un grigio ed anonimo travet ministeriale. Dopo improbabili apparizioni di maialini al forno e cosciotti di agnello vivi. incontri fortuiti. indagini e pedinamenti degni del migliore investigatore privato. equivoci. sorprese e pranzi pantagruelici. scoprirà una nuova terapia. la fagoterapia o terapia del cibo. una cura rivoluzionaria. basata sul consumo equilibrato e consapevole di cibo e bevande. capace di giovare non soltanto al corpo. ma anche alla mente. Vinta la diffidenza iniziale. il Nostro si avvicinerà ai fornelli. inizierà a leggere ricettari e guide gastronomiche. si innamorerà della cucina. apprezzerà finalmente il gusto ed i sapori. scoprirà come la passione per il cibo possa trasformarsi in ossessione. Un esilarante percorso a zigzag tra pietanze. fornelli. ricette. antichi manoscritti di gastronomia e parallelamente. un’escursione tra ansie. nevrosi ed altri disturbi della psiche. Un viaggio tragicomico in un mondo in cui il cibo diventa centro di tutto.” Quello che mi viene da pensare è che in qualche modo tutto sia legato. abbracciato e collegato da/in quel phagein. radice e archetipo linguistico di un percorso. letterario e umano. compiuto dall’autore. Come se egli avesse realizzato un salto. non lineare. passando dalle proprie “diseducazioni alimentari” (polo “negativo – fago chiude anche la parola antropofago: connotazione negativa propria dell’atteggiamento cannibalistico umano – si ragiona per estremi) fino a trovare. o ri-trovare un’equilibrio. una chiave di volta e una svolta nel gusto e “nel consumo equilibrato e consapevole di cibo e bevande” (polo positivo – risoluzione del fago - giusta collocazione). A stemperare quindi quelle nevrosi e ossessioni o a trasformarle. trasmutarle. ritrovarle nell’archetipo moderno del mangiar bene.
Massimo Roscia ha trentasei anni e vive con la moglie Alessandra nella campagna frusinate. Appassionato gourmet. autore di numerose pubblicazioni tecnico-scientifiche. lavora presso la Camera di Commercio di Frosinone dove si occupa. tra l’altro. proprio di enogastronomia. “Uno strano morso ovvero sulla fagoterapia e altre ossessioni per il cibo” è il suo romanzo d’esordio.

mercoledì, luglio 12

polipo alla luciana


Vorrei rimanere in tema proponendo ancora una ricetta di mare di origini napoletane. Questo ottimo piatto prende il suo nome dai “Luciani”, gli abitanti di Santa Lucia, il più antico borgo marinaio di Napoli sorto appunto intorno alla chiesa dedicata alla martire. I Luciani sono sempre stati pescatori molto abili, nonché esperti nella preprazione di piatti a base di pesce, rappresentando una fonte di ispirazione importante per il patrimonio delle cucina popolare napoletana.
Il polipo in questione peró non é semplicemente il protagonista di una buona ricetta, poiché anche la sua pesca rappresenta un evento unico ed emozionante.
Nelle notti d'estate di Santa Lucia é possibile vedere centinaia di luci sul mare; sono le Lampare, le barche che con la lampada fissata a prua si avvicinano lentamente verso la riva, accompagnate dal suono delle onde e da una leggera brezza marina. É così che il polipo, attratto dai riflessi di luce, sale a galla e viene preso dal pescatore con uno strumento chiamato "lanzaturo".
Ora peró voglio trasmettervi la ricetta, cosí come viene tramandata da anni in questa remota zona del golfo di Napoli.


750 grammi di polipetti veraci o un polipo di media grandezza
500 grammi di pomodorini rossi del “piennolo”
2 spicchi aglio
100 grammi di olive nere di Gaeta
una manciata di capperi sotto sale
peperoncino
prezzemolo fresco
olio extravergine di oliva
vino bianco

Sciacquare i polipi e versarli in pentola senza aggiungere acqua, perché come dicono i Luciani“O purpo sadda cocere cu l’acqua soia” . Aggiungere i capperi, una spruzzata di vino bianco e saltare per qualche istante a fuoco vivo. Aggiungere i pomodorini lavati e tagliati a pazzetti, le olive, il peperoncino e il prezzemolo tritato. A questo punto chiudere la pentola e cuocere per circa 10 minuti (anche di piú se non si utilizzano polipi molto piccoli). A cottura ultimata aggiungere ancora del prezzemolo tritato ed un filo di olio extravergine crudo.

lunedì, luglio 3

calamari ripieni



Siamo ormai in piena estate e di questi periodi vien sempre piú voglia di un piatto leggero, che possa saziare e allo stesso tempo rispondere alle esigenze del nostro palato. É proprio di questi tempi che con sempre maggiore insistenza, almeno per quanto mi riguarda, si comincia a pensare al pesce, ad un piatto di mare fresco e delicato, da assaporare e magari abbinare ad un buon bicchiere di vino.
La scelta, non del tutto accidentale, é caduta in questo caso sul calamaro. Prodotto pregiato molto diffuso nei mari italiani e presente oramai da secoli sulle nostre tavole. Sono diverse le varianti in cui viene presentato in cucina, a seconda di dove ci si trovi e di quello che la terra (o il mare) possono offrire.
Il Maiale Ubriaco vuol riproporre un’antica ricetta, una versione campana del calamaro imbottito, a Napoli noto come “calamaro mbuttunat”, che ne risalta il sapore e la delicatezza. Il pomodorino utilizzato é quello presente sui terreni impervi delle falde del Vesuvio. Ben noto come piennolo per la tradizionale tecnica di appenderlo a grappoli, ha colore rosso, buccia spessa, polpa soda e un sapore dolce inconfondibile. La sua particolaritá é tutta dovuta al Vesuvio, della cui lava, secondo gli anziani del luogo, le radici del pomodorino si nutrono.
I calamari imbottiti, oltre a rappresentare un ottimo secondo piatto, possono diventare piatto unico se utilizzati come condimento per la pasta, in modo particolare spaghetti e linguine.


4 calamari di media grandezza
100 gr. pangrattato
50 gr. capperi
25 gr. caciotta grattugiata
300 gr. pomodorini vesuviani “del piennolo”, o pelati
2 spicchio d’aglio
un mazzetto di prezzemolo
1/2bicchiere di vino bianco
7-8 cucchiai olio extravergine d’oliva
sale
pepe.

Pulire accuratamente i calamari eliminandone le teste e separando le sacche dai tentacoli, che andranno tritati. Preparare il ripieno unendo ai tentacoli 1 spicchio d'aglio tritato, una parte del prezzemolo, il pan grattato, il formaggio ed aggiungendo 2-3 cucchiai d'olio fino ad ottenere un composto appena morbido.
A questo punto riempire le sacche dei calamari e chiuderne l’estremitá con uno stuzzicadenti.
Fare soffriggere lentamente l'altro spicchio d'aglio nel rimanente olio, adagiarvi i calamari e dopo qualche minuto spruzzarli con il vino bianco, farli rosolare da entrambi i lati a fuoco moderato per ancora qualche minuto ed aggiungere quindi i pomodorini ben lavati ed il restante prezzemolo tritato. Salare e pepare. Coprire il tutto con un coperchio e lasciar cuocere a fiamma bassa per circa 15 minuti. Se necessario, aggiungere un pó d’acqua per bilanciare la cottura.
Servire con una manciata di prezzemolo tritato e un filo d’olio crudo.
Per una buona riuscita del piatto é preferibile bucare la superficie dei calamari ripieni con uno stuzzicadenti prima di riporli in padella per la cottura. In questo modo si eviterà di farli aprire, perdendo il ripieno nel condimento. Inoltre, affinché il calamaro risulti tenero, la cottura non dovrá essere eccessiva.