venerdì, marzo 30

Il Giardino della Minerva

Non ho mai avuto troppa passione per le stagioni piene. L’estate o l’inverno. La mente ed il corpo si inebriano, al contrario, nei periodi che le precedono: primavera e autunno. Parafrasando Heidegger ritengo che le mezze stagioni conservino in esse apertura. Siano predisposte, cioè, all’alternanza di luce e ombra necessaria affinché si possa lasciar lavorare la fantasia. Condizione pre-cedente al troppo caldo o al troppo freddo. Condizione misurata che allontanandosi dall’eccesso, dal "troppo", garantisce il nascere, il sorgere, il verificarsi, l’accadere dello sguardo interiore. Tutto sta nello sguardo. Come dire di preferire osservare una donna che lasci intravedere la sua nudità (celata – vedo-non vedo) anziché guardarla (troppo) nuda nella sua totalità. Casca tutto, no? Tutto finisce, si esaurisce in fretta. Questo arduo preambolo per arrivare a parlare di un luogo, Il Giardino della Minerva, ancora forse poco metabolizzato dai cittadini salernitani, ma anche da tutti coloro abbiano o abbiano avuto modo di passare un po’ di tempo nel nostro territorio o, perché no, in Costiera Amalfitana. Potremmo dire (anzi lo diciamo proprio) che la città di Salerno apre, inaugura la Costiera (se venite da Sud, se da Nord la conclude) e sarebbe un peccato non preventivare una sosta in questo luogo meraviglioso. Ci agganciamo a quanto scritto in precedenza sulla Scuola Medica Salernitana. Il Giardino, infatti, fu l’orto botanico della Scuola ed in esso erano coltivate alcune delle piante da cui si ricavavano i principi attivi impiegati a scopo terapeutico. Esso si trova nel cuore del centro storico di Salerno e sin dal secolo XII fu proprietà della famiglia Silvatico. A partire dal primo ventennio del 1300 il maestro Matteo Silvatico vi istituì un giardino dei semplici, antesignano di tutti i futuri Orti Botanici d’Europa. Nel novembre del 1991 fu presentato un progetto di restauro che sistemò il Giardino e lo rese fruibile a tutti, preservando elementi architettonici che sono databili tra il XVII e il XVIII secolo. L’opera più importante di Silvatico fu l’Opus Pandectarum Medicinae, manoscritto dedicato al re di Napoli Roberto D’angiò. Si tratta di un lessico sui semplici di origine vegetale. Di essi si parla per elenco di sinonimi (arabi, latini e greci), se ne descrive la morfologia desunta da autori illustri fino ad arrivare alle proprietà terapeutiche. La terapeutica salernitana si fonda essenzialmente sulla dottrina dei quattro umori, basata a sua volta sulla teoria degli elementi. Andremo a scomodare Pitagora (VI secolo a. C.) la cui dottrina, collegata al concetto di armonia, semplicisticamente spiega come l’armonia che regge l’Universo regga anche l’Uomo, dandogli salute, turbamento e malattia. La vita è costituita da 4 elementi: terra, aria, fuoco e acqua, in rapporto alle qualità naturali dell’Universo: secco, freddo, caldo e umido. Gli umori (sangue, bile nera, bile gialla e flemma) corrispondono ai 4 elementi e ne possiedono le caratteristiche. La combinazione degli elementi determina il temperamento umano, le sue qualità mentali e lo stato di salute.

La malattia non è altro che un predominare di un umore nei confronti degli altri e quindi deve essere contrastata con un prodotto di natura opposto. Nel Giardino i vegetali sono classificati secondo lo stesso criterio usato per studiare gli umori dell’uomo. Trovata la pianta adatta e raggiunta la combinazione esatta si troverà per conseguenza il rimedio naturale più efficace. L’equilibrio sarà perciò ristabilito! E questo in verità ci piace molto. Noi del Maiale siamo convinti dello stretto rapporto che intercorre tra Uomo e Natura. Contrari all’eccesso di chimica, troppo spesso utilizzata come rimedio d’impatto al minimo malore corporale. Il fatto è che sembriamo tutti abbastanza mollicci e indaffarati, tanto che prestiamo sempre poca attenzione all’ascolto del corpo e, anziché ascoltarci ed assecondare il nostro contenitore, preferiamo prendere una pillola e via…la giornata è appena cominciata. Maledetta industria farmaceutica! Prendere una tisana o adoperare rimedi naturali significa diverse cose, oggi: essere di tendenza; concedersi un attimo di tregua; dover attendere un po’ di tempo prima di trovare beneficio e ciò si scontra con la frenesia tecnologica della sur-modernità. Se andassimo tutti più lenti, se ascoltassimo di più noi stessi (ed ascoltare – o anche auscultare – significa porsi al di là dell’apparenza ingannevole, dell’eccesso di sguardo pianificato dai governi che dispensano paliativi tecnologici come fossero noccioline) riusciremmo a stare meglio. Fare come gli antichi (scriveva Leopardi pensando al Poeta). Ritrovare la lentezza gravida di spensieratezza tipica dei bambini. Per evitare i vizi in essi sempre si ricade. Ma avevamo iniziato con lo sguardo e l’apertura. Il Giardino della Minerva è prima di tutto un piacere per gli occhi. Ci siamo andati in questi giorni primaverili di tenera brezza e sole caldo. Strutturato in terrazze che ospitano le più svariate specie di semplici, il Giardino (prima raccolta di semplici della Storia delle Scienze Mediche dedicato alla sperimentazione e alla didattica) è in questo periodo la concreta possibilità di ritrovare la propria pace interiore. Passeggiare, osservare la meravigliosa vista sulla città antica e sul mare, fermarsi a contemplare, godere il sole e la tranquillità lontani dal centro, dal caos, dalla velocità della vita moderna. Oggi alcune associazioni ed uno staff tecnico operano per la conservazione e la fruizione di questo meraviglioso frammento d’arte antica. In particolare l’associazione Nemus che ha dato vita ad una tisaneria in cui tutte le preparazioni (quasi superfluo dirlo) sono a base di erbe del Giardino.

Così abbiamo degustato, in terrazza, una squisita tisana (arancia e frutti di bosco) accompagnata da gustosi biscotti cilentani. Poco più in la una scolaresca apprendeva da uno dei soci le notizie storico-culturali di cui sopra. Il lontano brusio, il sole, il profumo ed il gusto hanno lasciato spazio allo sguardo interiore. Come dire: pacificazione. Vale la pena ricordare che due domeniche al mese l’associazione Nemus organizza pranzi in Giardino a base di prodotti tipici campani e di erbe officinali. Una particolarità sta nel fatto che alle portate sono abbinate – via il vino e l’acqua per una volta – diversi infusi preparati per l’occasione. Per informazioni o prenotazioni rivolgersi qui. Consigliamo a tutti una visita al Giardino. Quello che importa, oggi e sempre, siamo noi. Voglio dire, l’unica cosa che ci è data di sapere, scoprire e valutare siamo noi stessi. L’Uomo in rapporto col mondo. Non è difficile trovare un equilibrio. E’ facile allontanarsi dalla possibilità di poterlo fare. Salerno. Primavera. Naturalità. Pace. Sguardo interiore. Chiudere gli occhi. E una volta chiusi, chiudere ancora gli occhi.

Il Giardino della Minerva, Via Ferrante Sanseverino, 1 - 84121 Salerno
www.giardinodellaminerva.it

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lunedì, marzo 26

Bosco Caldaia 2003 Antica Masseria Venditti


Ora che il giovane frutto prepotentemente si esibisce, rigoglioso, quasi eccessivo, a tratti violento, ne subiremo la florida, fresca ed esuberante vigoria. Non potrebbe essere diversamente vista la torrida annata in cui nasce e il poco tempo trascorso in bottiglia. Ma a ciò vi si aggiunge, in maniera determinante, le cure che Nicola Venditti dona ai suoi vini.
La zona di Castelvenere – dove è ubicata l’Antica Masseria Venditti, vignaioli dal 1595 – rientra nel territorio della doc Solopaca, che nell’immaginario collettivo significa prezzi stracciati e vini spesso mediocri. Questo dovuto, purtroppo, al numero impressionante di bottiglie che la cantina sociale riversa ogni anno sugli scaffali della grande distribuzione. Recentemente la notizia del cambio d’enologo alla guida tecnica di tale cantina: basterà l’altisonante nome?
Ma a saper scavare tra le pieghe di queste colline e vallate ecco spuntar fuori realtà interessanti e vini schietti: Fattoria Ciabrelli, Santimartini, ed appunto L’Antica Masseria Venditti.
Assaggiando i suoi vini, dalla spontanea e spensierata Barbetta al Bosco Caldaia di cui sto scrivendo, assaporerete e conserverete il gusto e il ricordo di fresca giovinezza. Niente di più semplice da spiegare: i suoi vini non vedono legno ne durante la fermentazione ne nella fase di affinamento fatta solo ed esclusivamente in acciaio e vetro. Ciò preserva e ci regala la candida purezza dei vitigni, quasi mangiassimo i grappoli a piene mani strappandoli al tralcio e al sole.
Il vigneto, un tempo Bosco riservato alla caccia detto della Caldaia, è coltivato secondo i dettami dell’agricoltura biologica. La sua esposizione è a sud-sud-est, la migliore che vi sia, ad un’altitudine di 160, 170 metri. Le viti, impiantate nel 1980, sono circa 2500 per ettaro, e rendono mediamente per ceppo dai 4 ai 6 kg d’uva. Le bottiglie prodotte in quest’annata sono state 4080.
Il vino, da aglianico, montepulciano e piedirosso, è di un rosso rubino con evidenti ed accentuati riflessi di colori cardinalizi che sfumano sull’orlo in un rosa carico e denso. Al naso dopo alcune note di riduzione, esibisce, come ho scritto, il vigore di un giovane frutto, more, che sovrasta fiochi abbozzi speziati. La bevuta è grassa, piena, polputa. Non provate a sorseggiarlo: il palato prosciugato e arso dai tannini non ancora ammansiti implorerà un secondo bicchier rapido, lascivo e dissetante. Sentori di tabacco biondo e cuoio e pepe nero accompagneranno la suadente dolcezza e la succosa morbidezza sorretti da una buona acidità. Una buona persistenza finale chiuderà il ritorno vinoso. Fossi in voi ne porterei un paio di bottiglie per una scampagnata, un pic-nic in questo matto tempo che ci regala giornate di sole primaverili, o le chiederei in una trattoria semplice e goduriosa dove lo accompagnerei a sughi strutturati, carni importanti, formaggi stagionati. Il vociare confuso e allegro o le risate della vostra compagna che si fondono con i suoni della natura sarebbero un ottimo sottofondo. Un altro paio di bottiglie, invece, le terrei da parte. L’indiscussa qualità del Bosco Caldaia infatti, gli permetterà la strenua resistenza al tempo nel tentativo di guadagnare nuovi e più maturi attimi di vita. E il tempo, da sicuro vincitore, magnanimo gli riconoscerà quell’ostinata capacità donandogli l’eleganza, la complessità e l’armonia che ora sono velate dal frutto prepotente.
Tra cinque, sei, forse dieci anni, le prenderete dalla vostra cantina dove con cura le avrete conservate. Allora e soltanto allora varrà il detto: uno è perfetto, due è amicizia, tre è folla. Tirerete fuori i vostri calici di fine cristallo, vi accomoderete, e potrete sorseggiarlo meditando, in silenzio.
Vuotata la bottiglia: In a sentimental mood suonata da Duke Ellinghton e John Coltrane, i Concerti Brandeburghesi di Bach o Sgt. Peppers dei Beatles.
Prezzo in enoteca tra i 9 e i 13 euro.
Vi lascio con un augurio: per tutti coloro che andranno al Vinitaly 2007, possiate bere vini unici, sinceri ed emozionanti, anche per me che non ci sarò.
Buone bevute a tutti.

Antica Masseria Venditti
vitigni: aglianico, montepulciano, piedirosso, barbera, olivella, greco, cerreto, falanghina.
ettari: 11 di proprietà. Bottiglie prodotte: 100.000.
enologo: Nicola Venditti
sede a Castelvenere in via Sannitica 122.
tel. 0824 940306
fax 0824 940301
info@venditti.it
www.venditti.it


Taccuino di un giovane bevitore di Mauro Erro

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venerdì, marzo 23

Buon compleanno Maiale

Il Maiale Ubriaco compie un anno.
Cavolo è già passato tutto questo tempo! Cominciammo quasi per gioco. Due amici che non volevano perdersi ne dimenticare le proprie origini e la passione che li accomunava, ricordate? Il patto antropologico-culinario che sottoscrivemmo all’inizio ha acquistato nel tempo un valore fondante. Il Maiale nel suo piccolo è cresciuto, e non ha mai dimenticato di lavorare sulla propria tradizione gastronomica. Tradizione che è un pezzo di cuore di ognuno di noi. Col tempo abbiamo capito che potevamo garantire una presenza costante. Lentamente e non senza difficoltà il Maiale ha cominciato ad ingrassare. E’ arrivato prima Giacinto, a rinforzare le difese immunitarie di un Maiale ingordo e voglioso di altro cibo. Poi è cominciata la campagna acquisti dei collaboratori, per altro ancora aperta. Tra i tanti ne abbiamo selezionati due. Elenoire prima e Mauro dopo: rispettivamente dietologa e fornitore di vino del Maiale. Entrambi appassionatissimi, ci raccontano il loro punto di vista con elegante,sincera e schietta parola. E poi diciamoci la verità, le nostre piccole soddisfazioni ce le siamo tolte. La pubblicazione di un’Antropologia delle fave sul sito del produttore Agrirape, le strizzate d’occhio da parte di Slowfood ed il Pastificio Gragnano, i ringraziamenti di Arianna Occhipinti e Frank Cornelissen – appassionati viticoltori, i feeds su Excite per il blog “dal nome più bello di tutti”, ma soprattutto i commenti, i baci e gli abbracci di tutti coloro i quali ci hanno seguito e sempre ci seguono. Il futuro del Maiale, è il caso di dire, si prospetta ancora più “roseo”. Tra breve apriremo il nostro sito internet. Senz’altro svelare, vi ricordiamo solo di continuare a seguirci, perché il Maiale ha deciso di non voler rimanere soltanto nel proprio angolo di piazza virtuale, ma ha meditato di scendere in campo davvero cominciando pian pianino anche nella realtà…la realtà sapete, quella fatta di uomini, cose, profumi, sapori no? Beh, lì cominceremo a muovere i primi passi di un Maiale che, seppure ubriaco, le zampe per terra ce le ha e ce le vuole tenere, e che desidera il confronto oltre lo schermo. Per concludere, un grazie di cuore a tutti voi che ci seguite e due parole – due! – da parte di ognuno di noi. Auguri!!!
Il maiale ubriaco é il simbolo di una passione, del desiderio di tenersi aggrappati forte ai propri valori, di un sogno che con entusiasmo, dedizione e sopratutto tempo si trasforma in qualcosa di sempre piú tangibile. Il maiale ubriaco é il simbolo di un'amicizia che rende tutto piú semplice, sicuramente piú intenso e nei momenti di difficoltá, quando quei piccoli insormontabili ostacoli ti rallentano il cammino, ti fa pensare che peró ne vale la pena!Due righe per ringraziare Stefano, mio amico di sempre, onnipresente e Giaicinto, fresco compagno d'avventura, entrati inevitabilmente a far parte del mio/nostro intimo sogno.
Re
I primi passi alla ricerca di un equilibrio mai stabile, i primi tentativi e le prime prove, qualche volta i primi errori. Le prime cadute accompagnate sempre da una nuova energia; una nuova spinta ancor prima di capire l'accaduto! Una visione a tratti ludico/lucida di ciò che sarà. E' tempo di bilanci. E' tempo di far bene e correre, ci/vi attendono grandi cose.
Il primo anno del maiale è già fuggito. I miei primi post anche! Un grazie ai due porci con le ali che in maniera rocambolesca mi han coinvolto in questo viaggio. Un saluto ad Ele e Mauro. Un applauso a voi.
G.
Due parole. due. Per ringraziare Remo, che alleva con me questo bel Maiale dall'Inghilterra. Sempre presente amico mio! Poi G che si è aggiunto a fine pasto ma con idee e determinazione. Le vedremo fruttare con il nuovo anno. Il Maiale Ubriaco nn dimenticherà di dar retta innanzitutto alla Terra, alle Stagioni, alla Natura. Ora basta. E' ora di pranzo!
Ste

lunedì, marzo 19

zeppole di San Giuseppe e crema umorale


Oggi è il 19 del mese di marzo ed è San Giuseppe. Il protettore dei poveri, dei derelitti e degli artigiani ci riporta alle vecchie tradizioni del nostro caro territorio italiano: il rito dei falò di felliniana memoria e le zeppole fritte. Sono giorni di festa e di passaggio stagionale, momenti di banchetti e convivialità, occasioni per festeggiare e stare insieme. Amarcórd.

Bene, torniamo a noi e passiamo alla ricetta.

Ingredienti x circa 20 zeppole
1/2 litro d'acqua
150 g di burro
50 g di strutto
una presa di sale
500 g di farina
13 uova
crema
olio per friggere
un barattolo di amarene sciroppate
zucchero a velo

Far bollire in una pentola acqua, strutto, burro e sale. Raggiunta l'ebollizione unire d'un colpo la farina, abbassare la fiamma e mescolare fino ad ottenere un impasto omogeneo senza grumi.
Quando l'impasto si stacca dalle pareti della pentola, spegnere la fiamma e incorporare le uova una alla volta facendo attenzione ad impastare bene e ad amalgamare il tutto.
Lasciar riposare per circa 15 minuti e preparare dei quadrati di carta da forno oleati.
Ora con l'aiuto di un sac a poche formate le ciambelle su questi quadrati oleati, preparatevi alla frittura e quando l'olio è bollente capovolgere il quadratino di carta con la zeppola nell'olio (magia: la carta si stacca da sola!). Qualche minuto di carta assorbente et voilà, il gioco è fatto. Non è proprio semplicissimo, ma da delle grosse soddisfazioni.
Ora per quanto concerne la crema, riteniamo che la sua ricetta sia qualcosa di estremamente personale, che si presta a delle forti interpretazioni soggettive in relazione agli stati d'animo, ai momenti, agli umori. Voi, fatela come meglio preferite e nel modo che più vi aggrada e solo successivamente ad un'adeguata riflessione a riguardo, farcite le zeppole con la crema.
guarnire ancora con 2 ciuffini di crema umorale, amarena e zucchero a velo a volontà.

Salutiamo l'inverno, accogliamo la primavera.

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venerdì, marzo 16

Mondovino: la guerra del gusto.


"Ci vuole un poeta per fare un buon vino"
C'era una volta il vino. C'erano una volta le famiglie dei vitivinicoltori. C'era una volta il gusto: differente, caratterizzante, identificativo di un territorio.
Oggi invece, parafrasando Aimé Guibert, il vino è morto. Ma non soltanto il vino anche i formaggi, la frutta...

Mondovino è un film/documentario di Jonathan Nossiter girato interamente in digitale, ma con un immaginario visivo che fa tanto anni '70. Il lavoro è stato completato nel 2004, è andato a Cannes e a chi ancora non l'ha visto consiglio vivamente di darsi da fare perchè è imperdibile!
Un percorso durato 2 anni, un viaggio in cui incontriamo broker, produttori, enologi, critici.
Un racconto che si snoda attraverso l'antica lotta tra il bene e il male, la battaglia (tutta moderna) tra locale e globale, la logica strategica della grande impresa dal gusto internazionalmente omologato e la piccola realtà dove gli errori e le sbavature probabilmente diventano sinonimo di verità ed identità.
Da Pernambuco, nel nord-est del Brasile, ai Pirenei francesi; da Bordeaux alla Sardegna con la malvasia di Bosa e il vino di Battista e Lina Columbu; dal Paraguay alla Linguadoca; da Firenze a Brooklyn; da San Francisco in California con Mondavi (120 milioni di bottiglie, 500 milioni di dollari di fatturato) alla piccola vigna Taillepieds (pochissimi ettari) di Hubert de Montille in Borgogna.
Gli estremi: il grande e il piccolo.
Dai tempi dei Galli dove c'è una vigna, c'è civiltà! Questo a testimonianza del fatto che il territorio è più importante di un nome sull'etichetta di una bottiglia. Questa è la forza di opporsi alla logica del marchio e alla strategia del marketing. Grande Hubert!
Un film politico, ma mai troppo serio, mai noioso! Un film sulla dignità, contro il consumismo e a favore dell'etica del fare il vino: il culto, la cultura, l'opulenza, la gioia di vivere, l'amore e il piacere.

Buona visione

ALIX: I vini puttane vengono dritti da te.
HUBERT: Sono vini imbroglioni.
ALIX: Sono vini che ti vengono incontro e poi ti abbandonano.
HUBERT: Ti abbandonano cosi!
ALIX: Infatti sono vini "traditori".
HUBERT: Ma il mondo moderno c’è abituato. Questo mondo ama essere ingannato.

www.mondovinofilm.com

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mercoledì, marzo 14

Radiatori con zucchine, patate e menta selvatica

Oggi mettiamo da parte i pensieri cupi, incerti e proviamo a gustare un buon piatto di pasta. La tentazione di ricominciare da dove ci eravamo lasciati è forte. Naturalità deposta, eccetera eccetera.. . La primavera è in anticipo, come negarlo. Ma è una primavera non vera, manipolata dall’uomo e dal suo inquinamento. Così, almeno qui in Campania (altrove ci direte), le primizie già nascono, sorgono e approdano sui banchi dei mercati ortofrutticoli. Scansiamo al volo anche tutti i dubbi sul “se è fresco realmente o invece è di serra”, glissiamo velocissimamente sulla “Terra corrotta” – ferita insanabile – e, come tanti amano fare, senza chiederci perché e percome approdiamo finalmente alla nostra ricetta. Gli uccellini cinguettano e l’aria tiepida del meriggio accarezza le nostre nuche solleticando l’appetito. Zucchine. Primizie. In Campania sono la zucchina bianca, polposa e di media grandezza. Poi la menta. Foglie corte, piccole e fragili. Sono minuscoli prolungamenti strappati a dovere (siamo vicini all’ossimoro) sapientemente raccolti e conservati in bottega, lontano dalla strada, dagli scarichi delle auto… dalla sur-modernità. Infine, il limone della Costiera Amalfitana, diverso da quello siciliano perché più polposo nella scorza e più acidulo. Il risultato è un piatto che dimentica il resto, che mette pace. La pasta trattiene egregiamente il condimento (sarà bene che aggiungiate ancora dell’olio una volta saltata in padella) ed il profumo che rimane in giro per casa (via l’incenso!!) rimembra fin sotto le coperte che la giornata non poteva concludersi meglio. Track: Rhomboid/Boards of Canada/Lavender trapezoids.


Ingredienti x 4 persone

400 g di Radiatori (PastificioGarofalo)
4-5 patate medie a pasta bianca
5-6 zucchine bianche
1 ciuffo di menta selvatica
Parmigiano Reggiano
Olio extra vergine
Peperoncino fresco
Aglio fresco
Sale grosso
1 limone della Costiera Amalfitana
Lavare con cura le zucchine poi cuocerle in padella con mezza testa di aglio fresco tritata, olio extra vergine e peperoncino. Aggiungere poca acqua. Salare con alcuni grani di sale grosso quindi terminare con un trito grossolano di menta selvatica. In acqua bollente salata calare la pasta insieme con le patate tagliate a cubetti. Scolare al dente avendo cura di lasciare la pasta leggermente umida. Saltare in padella spolverando con il Parmigiano e grattugiando la scorza del limone. Impiattare e servire subito.

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lunedì, marzo 12

Regimen Sanitatis Salernitanum

Seduto a pensare. Apparentemente a nulla che riguardi ciò di cui andrò a scrivere. La gente, la società, le guerre, la televisione, la naturalità deposta, i giovani ed il futuro. Nel calendario del mese di marzo del Maiale Ubriaco c’è scritto che il 12 del mese Stefano scriverà della Regola Sanitaria Salernitana, della Scuola Medica insomma. Fin qui tutto a posto e discordia tra i pensieri inquietanti di cui sopra. Ma il punto è questo: nell’introduzione della Regola – versione italiana di Fulvio Gherli (1733) – si traccia il profilo storico dell’Hippocratica civitas (appellativo attribuito alla città di Salerno agli inizi del Medioevo proprio perché essa rappresentò un importante centro di organizzazione della cultura e, particolarmente, della medicina). Tale profilo è giustamente e verbalmente inserito nel contesto panoramatico della città, piccola perla del meridione, illustre porto e meta di tante illustri menti. Quello che io mi chiedo, banalmente anche, è quanti conoscano la storia della Scuola Medica, nonostante le frequenti edizioni sull’argomento; quanto i cittadini ritengano importante prescindere almeno un po’ (anche solo per dialogare con le proprie radici) dai principi del Regimen Sanitatis Salernitanum. Che vuol dire? Che spesso abitiamo un contenitore senza conoscerne il contenuto. Che guardiamo la TV e dibattiamo delle più disparate problematiche, rimanendo però delocalizzati, come appesi a mezz’aria. Lo sguardo è orizzontale e non volge altrove. Più in alto, indietro, indietro nel tempo. A quando la città si fondò e il Medioevo le diede l’appellativo di Hippocratica Civitas (ep pure tutti guardano inebetiti questa parola impressa sugli stemmi comunali). Salerno come centro di organizzazione della cultura, particolarmente nel campo della medicina. La Scuola Medica rappresentò il pensiero scientifico dell’Occidente e dell’Oriente europeo, col quale la vicina repubblica di Amalfi ebbe rapporti intensi, e non soltanto di natura commerciale. Una leggenda attribuisce la fondazione della Scuola ad un Latino, un Greco, un Arabo ed un Ebreo. Quello che ignoriamo è invece il periodo esatto in cui essa ebbe origine. Nel suo massimo periodo di splendore la Scuola diventò celebre in tutto il mondo. Allievi provenienti da ogni regione vi conseguivano la laurea, potendo così esercitare la loro professione. Allo stesso modo alla Scuola giungevano i pazienti, compresi i reduci dalle Crociate che si recavano a Salerno per farsi curare ferite e malattie. La Scuola fissò la propria dottrina in un documento letterario di fondamentale importanza, il Regimen Sanitatis Salernitanum, poema didattico contenente prescrizioni dietetiche e consigli per la prevenzione delle malattie. E questo ci piace e ci incuriosisce. Il documento letterario è in sé una raccolta di aforismi. Consigli medici che vedono la naturalità del rapporto uomo-corpo alla base di una sensibilità medica oramai lontana, sottratta, dimenticata, soppiantata dalla chimica medicinale, dalla tecnologia, dalle pillole per il mal di testa (immediata risoluzione del dolore), dal rumore delle macchine di una palestra. Scoprire il Regimen Sanitatis significa recuperare il rapporto con il corpo, leggere se stessi all’interno del cosmo ed in rapporto con esso. Poi, e cosa per noi più importante (e conseguenza diretta), ritrovare tutti i benefici delle sostanze naturali; i frutti della Terra armonicamente aiutano a migliorarci e sa tanto di comunione, di riconciliazione…a costo di essere mielosi e banali! Scorrendo le pagine del Regimen troviamo tutti i rimedi naturali per depurare il fisico, per mantenere questo rapporto di attenzione (diremmo oggi) con la Natura.
Il porro che rende feconde le fanciulle; il Pepe nero che giova ai dolori di stomaco e alla tosse; Aglio e Ruta, Rafano e Noci contro i rei veleni. Scegli per abitar l’aere che sia Lucido, non di nebbia oscuro intorno, non di vapori impuro. L’eccesso di vino che conturba la voce chiusa tra le rauche fauci. Leggere il Regimen è interessante, divertente e concilia la volontà di volgere gli occhi alle proprie radici. Tradotto in tutte le lingue a partire dal XVI secolo potrete trovarlo con poca difficoltà in giro per la rete. Diverse librerie antiquarie ne posseggono qualche copia e non è complicato riuscire a trovare anche una moderna edizione. Per approfondire l’argomento e leggere alcuni aforismi potete andare qui e anche qui. Naturalità. Corpo. Mente. Uomo. Equilibrio. Ne parleremo ancora.

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venerdì, marzo 9

Frappato di Vittoria 2005 Arianna Occhipinti



"Non bisogna dimenticare certe sensazioni. Non bisogna agire per interessi lontani da quelli che sono i bisogni della vigna. Non bisogna togliere vita a ciò che è fonte di vita."

Queste sono le ultime parole di una lettera che Arianna Occhipinti produttrice poco più che ventenne a Vittoria, Ragusa, scrisse qualche tempo fa a Veronelli.
Mi sembrava giusto iniziare riprendendo il filo degli ultimi articoli de il Maiale Ubriaco. Quindi, si parla di biodinamico e vini siciliani. Ci troviamo nel cuore della zona del Cerasuolo di Vittoria, più precisamente in contrada Fossa di Lupo e Piraino, tra 5 ettari di vigneti e 16 di uliveti secolari. Già, perché la nostra Arianna produce, mi si dice, anche degli ottimi oli extravergine d'oliva che oltre all'etichetta "base" prevedono ben due selezioni: Gheta, da cultivar Nocellara del Belice, e Pantarei, da cultivar Tonda Iblea.
Ma torniamo al vino. È prodotto da uve Frappato per l’85%, e nero d’Avola per il 15%, coltivate utilizzando il sistema del cordone speronato con una densità media di 5500 ceppi per ettaro. Piante giovani, ma non giovanissime, 8 anni per il frappato, qualcuno in più per il nero d’Avola. Le rese sono basse, appena 18 quintali per il primo, e 28 per il secondo. La raccolta è manuale. Le uve, arrivate in cantina, sono pigiate meccanicamente, macerazione e fermentazione avvengono, e non potrebbe essere altrimenti, con lieviti naturali per 10 giorni con follature e rimontaggi eseguiti due volte al giorno.
L’affinamento avviene sulle fecce fini in tonneau di rovere di 4° e 5° passaggio da 600 litri per circa 10 mesi. Ovviamente non è effettuata nessuna chiarifica, né filtrazione. E’ aggiunta anidride solforosa per una quantità totale di circa 29 mg/lt.
Nel bicchiere si presenta di un color violaceo vivo e brillante, in un caleidoscopio di sfumature che dal cuore denso degrada verso l’esterno, nell’unghia, in un rosa fluido che danzando, scivola sulle pareti del bicchiere.
Portandolo al naso, un’effusione impetuosa e veemente di frutto vi arriverà alle narici. Scostate il bicchiere, fatelo ruotare un paio di volte ammirando di nuovo i colori del vino e riportatelo al naso. Inizierà ad aprirsi, ma avvertirete le stesse sensazioni che hanno catturato lo sguardo: un cuore denso di frutto, lampone per la precisione, e intorno, quasi nascoste, vaghe sensazioni minerali e accenni speziati. Al palato si ripresenterà questa duplice tattile sensazione. Il frutto denso, polposo e cremoso, cha accarezza il palato, avvolge le papille, si ferma quasi imponendosi – non deglutite subito, tenetelo un pizzico in più, assaporatelo – e attorno, sulle pareti della bocca, scivoloso, guizzante, rinfrescante e rinfrancante, grazie all’acidità spiccata. Entra corposo, scende rapidamente e sfuggente, riportando le sensazioni sul frutto.
Questo vino ha in se l’esuberanza del frutto e la leggiadria della bevuta. Se unite queste due parole, provando a legare ad esse un’immagine, vedrete forse delinearsi i tratti di un volto di una giovane donna che produce del vino e che è capace di scrivere quelle parole che ho citato all’inizio. Se vi riuscite, allora capirete ciò che sto scrivendo.
Per gli amanti del genere lo abbinerei ad I'll Remember April, dall’album del 1953 Blue Haze di Miles Davis, ma ancor di più all’album Clifford Brown And Max Roach Incorporated del ‘54, dove il grande batterista jazz incontra l’allora ventiquattrenne trombettista Clifford Brown. Basta ascoltare il primo brano Sweet Clifford. Stessa esuberanza e leggiadria.
Per tutti gli altri, soprattutto per coloro che con nostalgia pensano all’estate passata e trepidanti aspettano quella che verrà – perché questo vino dall’alcool moderato (12,5%), dal frutto godurioso e dalla facile beva, è vino tipicamente primaverile ed estivo (anche se io lo berrei sempre e comunque) –, per costoro, scrivevo, consiglierei una bella cena con gli amici, nella attesa che la primavera si presenti: potrebbe essere un’ottima occasione per organizzarsi le prossime vacanze proprio nelle sicule terre, degustando un caciocavallo ragusano fresco, un po’ di buona carne al forno o anche alla brace.
Accaparrarsi una delle duemilacinquecento bottiglie distribuite al di fuori delle terre siciliane da quei bravi distributori e commercianti della Velier, con il loro ormai celebre catalogo Triple AAA (agricoltori, artigiani, artisti), non sarà facilissimo. Prezzo in enoteca tra i quindici e i diciotto euro. Il doppio al ristorante. Forse un po’ alto per un frappato di Vittoria. Ma non so voi, io ancora devo imparare a monetizzare un’emozione.
Buone bevute a tutti.

Arianna Occhipinti
vitigni: frappato e nero d'Avola
sede a Vittoria (RG) in via dei Mille 55
tel 339 7383580
fax 0932 868222
info@agricolaocchipinti.it

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il Maiale Ubriaco presenta Mauro Erro: Taccuino di un giovane bevitore.


Lo staff del Maiale cresce ed ecco un'altra new entry: Mauro Erro, napoletano dalla sconfinata passione per il vino. Attraverso i suoi sensi viaggeremo in questo fantastico mondo, scoprendo nuovi percorsi tutti da bere.

“I vini che rincorro attraverso l’Italia sono, dunque, eccezioni alla melanconica regola: vini tra i pochi, tra gli ultimi, che non siano soltanto nomi e niente di più.”

Per un normale consumatore, un bicchier di vino, non è né più né meno che un bicchier di vino. Tale affermazione ha in se, nelle parole da cui è composta, un tono di baldanzosa ironia, che, quando la sento proferire dalle labbra di qualcuno, capisco dove si vuole andare a parare.
Ehi, semplicità. Infondo, si tratta di un bicchier di vino. La gran parte dei normali consumatori quindi, non fa una gran differenza tra un bicchier di vino, di acqua o di cola. Le motivazioni per cui costoro acquistano una bottiglia di vino sono più o meno sempre le stesse – parlo per esperienza diretta, visto che io il vino lo vendo – : “Stasera mangio carne e con una bella fetta di carne ci vuole un buon bicchiere di rosso!” o con faccia contrita: “Stasera devo andare a cena…, e mi stanno pure antipatici…amici di lei...c’era anche la partita! No, no, quella costa troppo, ma scherzi, prendi sto sangiovese”. Oppure rivolgendosi alla moglie mentre si è in giro a far la spesa: “ che ne dici di una bottiglia di vino?”, nutrendo in se la speranza che un bicchier di vino renda la serata più frizzante e la moglie più disponibile.
Quest’ultima affermazione, ovviamente, è spesso ripetuta da tutti quegli uomini-normali-consumatori-di-vino che avranno a cena l’amante, l’amica, la propria collega d’ufficio. Di conseguenza, se la sera non si mangia carne, se non si è ospiti a casa di amici di lei, se non ci si vuol dare una botta di vita con la propria moglie-amante-amica-collega d’ufficio, un bicchier d’acqua o di cola assolve al bisogno di introdurre una certa quantità di liquidi nel proprio corpo.
Tra questi, è vero dire, ve ne sono alcuni un po’ più esperti e smaliziati che cercando di spacciarsi per fini intenditori, riescono ad esprimere dei gusti, preferendo, che sò, il nero d’Avola all’aglianico, il sangiovese al nebbiolo. Ma attenzione, non un nero d’Avola o un sangiovese specifico di quel produttore e quell’annata, ma uno qualsiasi.

– Scusi le piace la Emma ? –.
– Ma quale Emma? – Ci si affretterebbe a precisare.
E se vi sentite rispondere: – Ma diamine: l’autentica Emma, qualunque ragazza dal nome di Emma! Non ditemi che non ne avete mai conosciuta una! – che cosa direste?

Per loro un bicchier di vino, non è né più né meno che un bicchier di vino.
Per un appassionato, invece, trovarsi innanzi ad un bicchier di vino, e per vino intendo qualcosa che non ha nulla a che vedere con quelle “bevande” iperlavorate, concentrate, costruite e anonime che hanno invaso gli scaffali di tutti i supermercati e di gran parte delle enoteche nostrane, porta ad una reazione che, anche se non manifestata per pudore, è più o meno questa: inginocchiandosi si esclama: “Grazie Dio!”.

Quest’ultimi in un bicchier di vino, ci vedono molto, ma molto di più. Questa rubrica è per loro: per quella sparuta minoranza che guarda con diffidenza le barbariche invasioni delle italiche terre e vigne.
Fatte le presentazioni, iniziamo...

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mercoledì, marzo 7

Bocconi di bufala cilentana con patate novelle di Montoro su letto di cuore e gambo di carciofo tondo di Paestum

L'allevamento della bufala nella zona della Piana del Sele rappresenta un fortissimo segno di identità territoriale sin dai tempi della civiltà contadina.
Al di là della ben nota mozza (antico nome della mozzarella) l'odore delle bufalare di una volta e i profumi caratteristici della zona cilentana ci riportano al tempo in cui si consumava carne bufalina. La nostra speranza è quella di un nuovo rinascimento per questa carne dal gusto particolare, con cui si producono anche degli interessanti insaccati che vale realmente la pena provare! Ma stiamo sul pezzo. Quello che il Maiale presenta oggi è un tipico piatto stagionale di territorio. Siamo in periodo di carciofi, e ciò è testimoniato anche dai banchetti degli ambulanti che si possono incontrare nella zona compresa tra Pontecagnano Faiano, Battipaglia, Eboli e Paestum. Bene, useremo il tondo di Paestum come base per la nostra composizione. A marzo è anche tempo di patate novelle, quelle piccole, gialle, buone e sempre più rare. A Montoro abbiam trovato ciò che fa al caso nostro; le prepareremo al forno e diventeranno un gustoso contorno per la nostra bufala. La carne, appunto, tornando a lei useremo una parte poco pregiata, come è giusto che sia in un'onesta cucina povera. Adesso è il momento di passare alla ricetta e mettersi al lavoro.
Pepare la carne e tagliarla a bocconi di un paio di centimetri, poi salarla e condirla con un goccio d'olio extra vergine. Rosolarla in padella con cipolla e sedano. Attenzione alla rosolatura è il segreto del piatto, ma voi siete bravi e avete occhio non è vero? Ora è il momento di bagnare con del vino bianco. Noi abbiamo usato una falanghina, ma se avete del fiano o del greco di tufo probabilmente è meglio! Una volta sfumato, aggiungere pian piano del brodo vegetale fino a coprire la carne (ndr il brodo vegetale lo si fa con sedano, cipolla, carota, patata, non con dadi e intrugli strani). Lasciar cuocere per circa 30/40 minuti. Aggiungere un pizzico di senape e lasciar riposare per 20 minuti. Ora passiamo ai carciofi, da mondare e immergere in acqua, ghiaccio e limone. Stufare con olio extra vergine, aglio, scalogno e timo. Bagnare con brodo vegetale (vedi sopra), regolare di sale e pepe e terminare la cottura in forno a 180° preriscaldato. Infine tagliare grossolanamente le nostre patate novelle, metterle in una teglia da forno con aglio, rosmarino, abbondante olio extra vergine, sale e pepe e cuocere anch'esse in forno con i carciofi.

ingredienti x 2 persone:

350g di spalla di bufala
50g di cipolla
50g di sedano
1 bicchiere di vino bianco
2g di senape
2 carciofi
4g di aglio
10g scalogno
10g timo
250g di patate novelle
un rametto di rosmarino
olio extra vergine d’oliva
sale e pepe q.b.

Abbiamo fatto dialogare questo piatto con un vino rosso siciliano: il Rosso di Verzella 2001 di Benanti, un buon Etna doc. Lo riproveremo anche con un Frappato di Arianna Occhipinti, ma sarà un'altra storia...

venerdì, marzo 2

Batteri buoni con lo yogurt nella dieta

Le ricerche piu' recenti dicono che, per alcuni alimenti, gli effetti sull'organismo vanno al di la' del semplice apporto di nutrienti (proteine, carboidrati, lipidi, vitamine, sali minerali) in quanto intervengono nel favorire e modulare il funzionamento di specifici processi vitali. Questo e' il caso degli alimenti detti probiotici (dal greco 'bios', favorevoli alla vita, definiti anche 'funzionali'), di cui lo yogurt e' l'esempio piu' rappresentativo, perche' oltre ai nutrienti del latte apporta dei microorganismi 'vivi', in grado di esercitare un'azione di equilibrio sui numerosi batteri (miliardi) presenti nell'intestino umano. Un pochino di storia miei cari lettori, non può far altro che bene! Allora...Lo yogurt esiste da millenni, soprattutto nei paesi dell'Est (la parola e' di origine turca: significa latte denso). Nella Bibbia (addirittura nella Genesi) ci sono precisi riferimenti a questo alimento. Il merito della diffusione in Europa dello yogurt va attribuito al biologo russo Elia Metchnikoff (a dire la verità era francese di origine russe ma chissenefrega!) il quale, alla fine del 1800, lavorava all'Istituto Pasteur di Parigi, e nel 1908 vinse il premio Nobel per i suoi studi pionieristici nell'ambito dell'immunologia (e non per lo yogurt!!!!). Partendo dalla considerazione che i popoli caucasici avevano una vita media piu' lunga degli abitanti di Parigi, Elia Metchnikoff formulo' l'ipotesi che la longevita' dei pastori (forti consumatori di yogurt) dipendesse dal latte fermentato, in quanto apportatore di microorganismi 'buoni' e 'antiputrefattivi' (i batteri lattici appunto!). Lo studioso sapeva che i residui alimentari fermentano nel colon a causa di germi intestinali ed era convinto che cio' producesse sostanze tossiche, a lungo andare letali. Le teorie di Metchnikoff non furono confermate dal mondo scientifico, pero' consentirono la produzione e la diffusione di latte fermentato su scala industriale. Ancora oggi i francesi sono grandi consumatori di yogurt rispetto ad altri partner europei (Italia compresa), grazie all'imprenditore Daniel Carasso (chi è costui? Confidenzialmente veniva chiamato signor Danone in quanto era in sovrappeso...siii, proprio lui, quello della famosa Danone...ma quante ne sò!!!).
Nella produzione e nell'impiego di latte fermentato i punti deboli sono: la sopravvivenza dei batteri nell'alimento (temperatura ideale: 4 gradi per 24 giorni; a 15 gradi sono dimezzati dopo 8-10 giorni) e lungo il tratto digestivo. All'interno dell'organismo umano infatti esistono barriere che ne limitano la sopravvivenza con l'acidita' dello stomaco e le secrezioni biliari. Ecco perche' oggi, ai probiotici vengono aggiunti dei 'prebiotici', cioe' dei polisaccaridi (tipo inulina) che favoriscono lo sviluppo dei batteri utili. Inoltre sono stati selezionati dei probiotici (Lactobacillus johnsonii ceppo La 1 ed il Lactobacillus casei immunitas...quest'ultimo lo conoscete tutti per via della pubblicità dell'Actimel!) in grado di resistere ai processi digestivi. Diverse ricerche dimostrano l'effetto positivo di questi probiotici, ad opportune dosi, nelle forme di gastroenterite, ma esistono anche segnalazioni che indicano il possibile ruolo positivo nelle infezioni respiratorie e nelle infezioni delle vie urinarie. Giusto perchè sappiate che forma hanno i Lactobacilli che ingurgitate, eccovi una foto al microscopio elettronico.

Non bisogna credere che il vasetto di yogurt sia un elisir di lunga vita, questo no! Ma alcuni latti fermentati sono utili all'organismo umano a opportune dosi ed inseriti in una dieta equilibrata e varia tenendo presenti lo stile di vita, i fattori genetici e la presenza di malattie. Marcuzzi docet...pensate all'Activia!
Alla prossima.
EvE