lunedì, novembre 26

Sono porci questi Maiali!

Week end lungo per il Maiale e ghiotta verticale in quel di Roma, precisamente presso i Castelli, dove in un lungo pomeriggio si è consumato il pranzo pittorico e una grossa sbevazzata. Ghiottissimo appuntamento, dunque, al quale, oltre me e Remo, hanno partecipato nell’ordine la mia signora scesa da Parigi e due amici dal giusto appetito. Così ben assortiti sabato mattina siamo partiti, destinazione Ariccia, mentre un cielo incerto, poca pioggia e una schiarita tardo pomeridiana hanno colorato la giornata di fitte foglie autunnali. Poco più in la di Palazzo Chigi, all’ombra della piazza e in un apposito slargo, le Fraschette ci hanno accolto deliziandoci coi loro profumi e la rinomata bontà. L’idea era quella di compiere più tappe, quindi più assaggi. In pieno stile Maiale Ubriaco avremmo consumato qui e là, tra calici di rosso, occhi lucidi e naso ciliegia. Poi l’attenzione è cascata su di una delle Fraschette, la prima arrivando dalla piazza, la Locanda del Brigante Gasperone. Una volta entrati – saranno state le 14,30 – ne siamo usciti che era già buio, soddisfatti e satolli. Qui, seduti su panche e apparecchiati su tipici tavoli da taverna, abbiamo dato sfogo alla nostra goliardia mangereccia, chiedendo all’oste di fare lui a suo buon gusto e ordinando vino con rilassata allegria . E questo vino, molto onesto e da bere ci è parso. Un novello di Ariccia, Fontana di Papa, Tentazione d’Autunno che scendeva, tra i pasti, regalando calore, gioia e armonia. A me e Remo capita spesso di incontrarci per brevi periodi, quando lui riesce a tornare in Italia ed io sembro trovarmi nel posto giusto. Questi attimi, conditi di rossa brezza, tengono vivo un rapporto, in alcune particolari sue sfumature che spero il mio compare percepisca parimenti.
Le danze, dal Brigante, si sono aperte con un antipasto misto composto dalle seguenti portate: mozzarella di bufala romana, porchetta, mortadella di cinghiale (buonissima), prosciutto e salame, pane casereccio e altri diversi intingoli squisiti che il vino – non me ne vogliate – mi ha fatto dimenticare. Il trionfo tra i primi lo ha raggiunto la polenta al sugo di cinghiale che, per forza, ha messo buona base per bere e mangiare ancora ed in quantità. Quando i secondi sono arrivati credo fossimo rimasti soli nella locanda. L’intimità, allora, si è fatta più forte. Quattro chiacchiere col locandiere ed un simpatico siparietto ad opera d’un tale che ha fatto ingresso recando con se una grossa stampa su tela raffigurante, mi pare, una battaglia. Abbiamo continuato con: spiedini di pecora arrostiti, salsicce e bistecche di manzo, cicorietta selvatica con salsiccia, scamorza ai ferri prosciutto e funghi porcini. Quello che mi preme sottolineare è la poesia del clima tutto intorno; quel senso di pienezza non solo di pancia che accompagna ed allieta momenti come questo. La schiettezza, la genuinità dei prodotti, la bontà del cucinato sono – e lo sapete – gli ingredienti necessari per gestire un’allegra compagnia di amici affamati, buongustai, amanti del poco e del bello, contenti d’essersi trovati ed insieme raccontati e rallegrati. Assente ma presente il nostro Giacinto, abile novelliere di vini e di vigne. A lui numerosi e goliardici brindisi si sono rivolti nella pienezza degli animi. La splendida cornice dei Castelli, che più tardi abbiamo ammirato passeggiando, ha confezionato insieme alla calda ospitalità del Brigante Gasperone e alla sua buona ed onesta cucina, un altro piccolo istante di memoria da aggiungere al già grosso fardello dell’Ebbro Suino. In ultimo, una pausa dolce al forno Cioli di Simona Galieti. Proprio in piazza, ad Ariccia, una piccola oasi d’altra semplicità e genuinità dove gustare ciambelle, tozzetti, crostate, pangialli e squisiti biscotti. Ad onor del vero non posso dimenticare che l’oste del Brigante non ci ha lasciati andar via senza prima omaggiarci di alcune ciambelline al vino e pure una buona – ma buona! – bottiglia di grappa. Giornata egregia dunque e di allegra brigata, tanto da dirla e cantarsela in coro: sono porci questi Maiali!

La Locanda del Brigante Gasperone
via B.go San Rocco, 7 - 00040 - Ariccia (RM)
Tel. 06 93 33 100
Cell. 339 7348291
Dolci Cioli
Piazza di Corte, 9 - 00040 - Ariccia (RM)
Tel. 06 93 32 181

Stefano Tripodi
fotografie: Stefano Tripodi & Remo Morretta

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giovedì, novembre 22

Linguaglossa, Scilio, Sikélios. Nerello mascalese a prova di dolcezza!

Sulle sciare scure del vulcano, il rosso foco della lava rischiara le fronde verdi dei vitigni; filari e terra e casolari diventano piccini di fronte all'immane montagna che lapilli e massi rutta. e mentre tuona e bagliori man mano scemano, che il gigante stanco va a dormire, ritorna l'uomo sui terreni arsi a rinfoltirli e quivi poi a vendemmiarli.
Ogni tanto si torna a Catania. Ogni tanto attraverso racconti, piccole citazioni e veloci ricordi il Maiale torna sui suoi passi in terra etnea. Poco più di un annetto fa avevamo cominciato il nostro viaggio con un post, oggi invece è la volta della Linguaglossa e per la precisione siamo in Valle Galfina alla Tenuta Scilio. Qui dal 1815 sorge l'antico casolare della famiglia Scilio, che da oltre quattro generazioni coltiva con passione la vigna e conduce un agriturismo farmhouse.
Nel corso del tempo, abbiamo avuto modo di provare e di apprezzare senza riserve i vini . Difficile dimenticare la visita alla Tenuta in un caldo pomeriggio domenicale di fine agosto. Ancor più difficile cancellare la chiusura in dolcezza di quella giornata accompagnata dal Sikélios e dalle tracce lasciate in quella occasione sul nostro palato.
Un Sicilia IGT (indicazione geografica tipica) rosso, dolce da uve stramature appassite al sole secondo l'antico rito di tradizione sicula. Un vino elegante, come ci si aspetterebbe da un nerello mascalese in purezza, con sentori di caramello, miele, liquirizia, spezie: un vino vellutato e dalla notevole corrispondenza gusto-olfattiva. Un vino dolce, ma mai stucchevole, mai noioso, gonfio e muscoloso; in grado di sorprenderti sempre fino all'ultimo sorso, capace di stupirti ancora una volta regalandoti sensazioni nuove e diverse, un vino da scoprire a sorsi piccolissimi e a polmoni pieni!
Si sposa bene con la pasticceria secca siciliana o con qualche formaggio stagionato piccante. Ideale nel fine pasto, in un attimo di meditazione, in compagnia di un sigaro gentile, di un pezzetto di cioccolato serio. Prossimamente lo proveremo anche con qualche grossa caldarrosta e con un paio di nocciole.
Questo vino partecipa a il Vino dei Blogger #12 Passiti da Meditazione (Primo Anniversario) di Marco Cenci Loste di Una colica d'acqua.

Tenuta Scilio
contrada Valle Gafina
95015 Linguaglossa (CT)

Tel. Fax 095.647789
info@scilio.com
www.scilio.com


Giacinto Chirichella

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lunedì, novembre 19

Colazione #3: Marmellata di arance al tè

Non c’è due senza tre. Con questa squisita marmellata intendiamo chiudere [momentaneamente!] il nostro cerchio intorno all’argomento colazione. Appuntamento importante, abbiamo visto, attimo in cui davvero possiamo gettare le basi per una giornata quanto meno all’insegna del buon umore. Questa conserva può essere tranquillamente preparata nel week end o in una di quelle sere in cui si ha un po’ di tempo a disposizione e voglia di fare. Distribuita in vasetti non troppo grandi e conservata in un luogo fresco e al buio può durare anche più di un anno. Le avvertenze, eliminati gli eccessi maniacali sulla conservazione, sono davvero poche. Lavate ed asciugate bene tappi e vasetti, usate frutta di ottima qualità e prestate attenzione alla pastorizzazione, dove eviterete che il bollore porti ad urtare i vasetti distruggendoli irrimediabilmente. Infine occhio alle bolle d’aria e il gioco è fatto. La cosa davvero importante è la marmellata. Il gusto e la consistenza. Di sicuro anche l’idea – come in questo caso – per una conserva simpatica e gustosa. Ormai sono decenni che mamme e nonne ci deliziano con le loro confetture. Sorvoliamo quindi sul “io la faccio così ed io invece colì” e stabiliamo un metodo facile, collaudato e sincero. Novembre pieno e arance sui banconi della frutta al mercato. Sole tiepido e vento gelido. Mi dicono che au marché d'Aligre a Parigi arrivano delle ottime arance dalla Sicilia. E dopo mezzogiorno svendono le casse avanzate. Una ghiotta occasione per chi fosse da quelle parti, considerato pure che costano due soldi. Tornando a noi, l’idea di usare il tè era per dare struttura e retrogusto alle arance di per sè amare e forti nell’impatto col palato. In questo modo abbiamo valutato che il sapore deciso viene ammorbidito pur rimanendo in primo piano mentre le mele fanno da letto: accomodano. A parte poi il secondo gusto percepito del tè che rende il tutto davvero interessante. Ci avviciniamo dunque al periodo natalizio. Lentamente, tra sole e piogge. Questa marmellata potrebbe stuzzicarvi nei giorni di festa dicembrini, quando al primo mattino ancora assonnati vi accingerete a prepararvi per la frenetica corsa ai balocchi dell’ultima ora. Come sempre suggerimenti & co. sono da noi graditissimi. Buona settimana a tutti e ghiotte, ghiotte colazioni!

Ingredienti

500 g di arance non trattate
500 g di mele Golden
800 g di zucchero
20 g di tè al bergamotto
2 stecche di cannella
1 limone

Lavare accuratamente le arance, asciugarle e sbucciarle asportando solo la buccia esterna. Tagliarle a metà, spremerle e versare il succo in una ciotola insieme al succo di limone. Porre le scorze in una casseruola, coprirle di acqua e cuocerle per 30 minuti. Scolarle e versare il liquido di cottura nella ciotola contenente succo d’arancia e limone. Lasciar raffreddare le scorze quindi tagliarle a julienne. Mettere in infusione il tè per 8 minuti in 9 dl di acqua bollente, filtrarlo e versarlo in una pentola. Aggiungere lo zucchero, mescolare bene e lasciare sobbollire per dieci minuti fino ad ottenere uno sciroppo. Sbucciare le mele, tagliarle a spicchi sottili e aggiungerle allo sciroppo di tè. Unire anche il succo e le scorze di arancia quindi la cannella ridotta in polvere. Cuocere a fuoco basso, mescolando spesso, per due ore circa finchè avrà raggiunto la sua consistenza. Procedere col riempire dei vasetti sterilizzati che andranno bolliti, coperti d’acqua, per almeno mezz’ora.

Stefano Tripodi & Daniela Caselli

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giovedì, novembre 15

Minestra di tubetti, ceci del Cilento & olio delle Colline Salernitane

Un salto dalle mie parti, in Campania e precisamente nelle terre dell’incantevole Cilento. Questa è la ricetta di oggi. Una minestra semplice e gustosa, uno di quei piatti che scalda il cuore e con tutte le sue fragranze esalta i sensi. Quello che ci vuole in queste fredde giornate d’autunno, per accompagnare una buona cena fra amici o in famiglia ed un buon bicchiere di vino rosso, quello locale! I tubetti che ho utilizzato sono del pastificio Faella di Gragnano, a cui un accenno di tanto in tanto ci sentiamo di farlo; l’olio extravergine delle Colline Salernitane, a due passi da dove sono nato e cresciuto ed i ceci, dulcis in fundo, sono di Cicerale (il nome la dice tutta), un piccolo paesino nascosto fra i monti del parco del Cilento.
Ecco, ve la presento in tutta la sua naturalità e freschezza questa zuppa contadina, sincera e dai forti sapori di terra. Buon appetito.

Ingredienti x 4 persone

600 gr. di ceci
200 gr. di ditalini
1 cipolla
1 costa di sedano
1 spicchio d’aglio
olio extravergine d’oliva
1 rametto di rosmarino
2 foglie di alloro
qualche foglia di basilico
sale
pepe nero

Tritare finemente il sedano, la cipolla, l’aglio e soffriggerli insieme a rosmarino e alloro in una pentola per circa 10 minuti. A questo punto aggiungere i ceci (precedentemente lasciati a mollo in acqua fredda per alcune ore e cotti con un pizzico di sale) e ricoprire il tutto con del brodo caldo. Cuocere a fiamma bassa per circa 30 minuti e quando i ceci avranno assorbito gran parte degli aromi presenti in pentola aggiungere i tubetti ed una spruzzata di sale e pepe. Quando la pasta avrà raggiunto un buon punto di cottura (una decina di minuti) allontanare dal fuoco, aggiungere un po’ di brodo se si desidera una zuppa meno densa e qualche cucchiaio d‘olio extravergine d’oliva crudo. Servire ben caldo.
Nota: una metà dei ceci utilizzati può essere passata al passaverdura, cosi si aggiunge cremosità al piatto ed un aspetto sicuramente invitante (io questa volta non l’ho fatto….me ne sono pentito!)

Remo Morretta

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lunedì, novembre 12

Morella: sic et simpliciter il Primitivo è Old Vines!

Dice il motto contadino "A San Martino ogni mosto è vino."
Torniamo al nettare di Bacco e lo facciamo nel migliore dei modi, del resto in questo autunno che profuma di funghi, castagne e piatti caldi fumanti di un certo spessore, viene davvero difficile resistere a non tirare il collo a qualche bella bottiglia giù dalla cantina. Torniamo ai grandi rossi, quelli che scaldano il cuore e conquistano i banchetti luculliani, quelli che fan buon sangue e colpiscono per la loro territorialità, ancora quelli che raccontano e nel farsi scoprire sorso dopo sorso ci fanno capire il nostro modo di intendere il vino.
L'occasione ci porta a sfogliare le pagine della nostra Moleskine per sbirciare quanto avevamo buttato giù quest'estate in Puglia quattro/cinque giorni dopo ferragosto!
La soffiata era di Antonio di Gruttola; fu lui difatti a dirci che non potevamo andare a Manduria senza fermarci da Morella. Così capitammo in cantina proprio nel primo giorno di vendemmia, con le uve da poco raccolte che riposavano nelle vasche d'acciaio. Gaetano Morella, giovane e coraggioso artigiano del vino, ci accoglie in maniera fraterna ed amichevole, come fossimo vecchi amici, proprio come se ci conoscessimo da sempre, senza se e senza ma.
Davvero affascinante il progetto enologico che dal 2000 porta avanti con l'enologa australiana Lisa Gilbee, sua fedele compagna. Una bella scommessa per una piccola azienda da 11.000 bottiglie: ancora una volta siamo di fronte ai grandi vini da piccole vigne! Prodotti molto naturali, non filtrati, senza strane aggiunte, qui è l'uva ad essere protagonista, frutto di antiche vigne ad alberello pugliese su "terra rossa" di età compresa tra i 25 e i 75 anni. Una grande materia prima, e una mano sapiente (quella di Lisa) che riesce a lavorarla in maniera eccellente.
Un tris di bottiglie coerenti come solo raramente accade, in un crescendo che incalza e conquista senza indugi nè ripensamenti. Si parte col Pimitivo-Malbek Terre Rosse, particolare, gustosissimo, dall'alta bevibilità e piacevolezza, un piccolo grande campione. Si prosegue con il Primitivo La Signora, un cru seducente con un piacevolissimo bouquet e delle belle note di terra bagnata, muschio, erba di campo, non astringente, impenetrabile e dalla buona acidità. Si finisce alla grande con il Primitivo Old Vines, vino maiuscolo, da comprare e custodire gelosamente in cassa di legno! un centopercento primitivo serio e ben fatto, che si apre poco a poco ed evolve nel tempo, anche e soprattutto a distanza di ore. Una bottiglia impegnativa, che rapisce e cattura l'attenzione da gran protagonista grazie ai suoi aromi ricchi e decisi: liquirizia, tabacco, caramello, prugne, more, cioccolato.
Il futuro di Morella ci riserva gioia, sperimentazione e avanguardia con un primitivo metodo classico che al momento riposa in barrique di quarto passaggio e che impazienti e curiosi ci auguriamo di poter provare nel 2008. Prosit

Azienda Agricola Morella
via San Pietro, 65
74024 Manduria (TA)

Tel. Fax 099.9791482
azag.morella@libero.it

Giacinto Chirichella

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giovedì, novembre 8

Crostata al cioccolato fondente, sensazioni d'autunno

Un inno al cioccolato, pensieri sparsi...fame di dolci.
Il cacao, nato cosi lontano, cresciuto sotto un sole cosi diverso da quello che oggi batte fuori alla mia finestra. Eppure la sua presenza in questo autunno pungente cosi…autunnale, non mi sembra affatto inappropriata.
Una sensazione di calore, profumi inebrianti, colori intensi ed emozioni, un bisogno di sentirsi avvolti, finalmente, nell’ abbraccio di un lungo letargo.
Ho pensato a questa torta al cioccolato, che con il suo sapore è riuscita a descrivere perfettamente quello che provo e che da un pò di tempo cerco di trasmettere con messagi più o meno chiari.
Il cacao, simbolo di terre lontane, oggi porta con se la fresca brezza di un autunno europeo.
Una breve nota, semplicemente, per lasciarvi a questa delizia. Gustatevela...offre il maiale.

Ingredienti

x la sfoglia

200g di farina
75 d zucchero a velo
75 g burro morbido
2 tuorli d’uovo
2 cucchiai d’acqua fredda o latte
1 pizzico di sale

x la crema

300 ml di panna
2 cucchiai di zucchero
Un pizzico di sale (davvero pochissimo)
100 gr di burro
400 gr di cioccolato fondente
50 ml di latte
50 ml di vino rosso
cacao amaro

Innanzitutto preparare la pasta frolla, che una volta pronta andrà stesa in una sfoglia non troppo sottile e adagiata su una teglia da crostata. Coprire la sfoglia con della carta da forno, dei legumi secchi per mantenerne la forma e cuocere in forno a180° per circa 10 minuti. Terminata la cottura lasciare in forno a raffreddare.
In un pentolino portare ad ebollizione la panna, lo zucchero ed un pizzo di sale. Spegnere la fiamma ed aggiungere burro e cioccolato che andranno a sciogliersi lentamente creando una crema sempre più densa. Lasciar raffreddare, rimestando di tanto in tanto ed aggiungendo poco alla volta il vino ed il latte.
Versare al crema sulla crostata (a questo punto completamente raffreddata) e lasciar riposare il tutto a temperatura ambiente per 1-2 ore.
Spolverare con del cacao amaro e se volete un pizzico di cannella.

Remo Morretta

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lunedì, novembre 5

Risotto di zucca & castagne

Buon inizio settimana a tutti.
Questo risotto, delicato, gustoso e semplice da preparare utilizza 2 prodotti principe della stagione. Zucca e castagne, un abbinamento insolito ma capace di regalare grandi soddisfazioni. L’idea è venuta da un giro, di presto mattino, compiuto in uno dei mercati romani rionali. Da quando sono a Roma le mie giornate sono ricche di avvenimenti, ho abbandonato la vecchia vita fin troppo casalinga guadagnandone in salute, sguardi, sensazioni e gioia. Sono sempre stato del parere che avere la possibilità di spostarsi verso altri luoghi, senza rimanere a lungo in uno solo, concili lo spirito, il temperamento, la possibilità di utilizzare bene la mente ed il corpo. Mi rimane impressa un’espressione di Calvino, tratta dal meraviglioso Eremita a Parigi. Parlando di scrittura egli dice che per poter scrivere (quindi pensare) di un luogo, è necessario non viverlo più. Il distacco, la lontananza, non solo favoriscono la meditazione su/di esso, ma – configurandosi come altrove – permettono anche di rammentare la propria vita passata. Così accade a me. Lontano dai luoghi natali (ma non così lontano…quel tanto che basta, direi) accarezzo le strade della capitale crogiolandomi tra mille pensieri. Il mercato visitato, nei pressi di viale Libia, è un luogo coperto abbastanza grande da contenere almeno 25-30 banconi. Tra frutta, verdura, spezie e fiori, scegli il tuo banco con tutta tranquillità. Mi attira una zucca enorme, colorita e profumata. Ne prendo uno spicchio abbondante. Poi delle castagne fresche (prezzo e profumo la dicono tutta!), sistemate con cura in una busta per alimenti. Quattro chiacchiere col banchista, un sorso di caffè gentilmente offerto, poi a casa, nel fresco del mattino iniziato da poco. Prendo tutta la prima parte della giornata per cucinare. Lentamente, senza fretta. Frattanto sgranocchio qualche biscotto integrale preparato qualche giorno fa. Latte intero, uno yogurt bianco ai cereali, altro caffè. Il desiderio di lentezza che rapisce il Maiale in questi ultimi tempi spero rapisca anche voi. Nella maniera migliore, cominciando presto e bene la giornata; avendo il tempo, lento e placido, di preparare questo gustoso risotto da mille e una notte. Buon appetito!

Ingredienti x 4 persone

200/230 g di riso carnaroli
1 spicchio abbondante di zucca
6/8 castagne fresche
2 scalogni
¼ di burro
Parmigiano da grattugiare
1 spicchio d’aglio secco
2 foglie d’alloro
1 bicchiere di vino bianco secco
prezzemolo
Olio extravergine
Sale q.b.

Sbucciare le castagne avendo cura di lasciarvi la pellicola interna. Lessarle in acqua bollente profumata dalle foglie di alloro divise a metà di modo che rilascino tutto l’aroma. A cottura avvenuta (verificare con le mani se il cuore risulta morbido) scolarle e metterle da parte. In una padella capiente lasciare imbiondire nell’olio extravergine il trito di uno scalogno e lo spicchio d’aglio. Porvi la zucca tagliata a cubetti grossolani, abbassare la fiamma e lasciar consumare. Aggiustare con una presa di sale. Preparare (potete farlo anche prima) un leggerissimo brodo a base di carote, sedano e prezzemolo. In una pentola dai bordi alti soffriggere appena il trito dello scalogno rimasto, tostare il riso e sfumarlo con il bicchiere di vino bianco secco. Rabboccare con il brodo procedendo con il metodo classico di cottura del riso. Quando il riso sarà al dente aggiungere la zucca, prelevandola con un cucchiaio ed evitando di lasciar scorrere l’olio in eccesso. Dopo alcuni minuti aggiungere pure le castagne tritate al coltello. Rimestare delicatamente portando il riso a cottura. Spegnere la fiamma, mantecare con burro e parmigiano e spolverare col prezzemolo tritato. Lasciar riposare per circa 5 minuti chiudendo la pentola col coperchio. Impiattare aggiungendo un altro po’ di prezzemolo e qualche pezzetto di castagna messo da parte appositamente.

Un consiglio: quando comprate la zucca fate in modo che vi lascino i semi. Potrete tostarli ed usarli come decorazione, o mangiarli al naturale poiché sono squisiti.

Stefano Tripodi

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sabato, novembre 3

La colazione del sabato - breakfast at Wellington

Il post del Sabato, esatto quello light, che compare quando meno te lo aspetti ed in cui il maiale ti parla di tutto, perché vuol farsi due chiacchiere con te e poi perché diciamocelo, il maiale è un animale sociale!
Oggi ci troviamo in Inghilterra, a casa mia, o meglio a pochi passi dalla mia umile dimora, dove nel cuore dell’ English countryside , fra le regioni dell’Hampshire e del Berkshire, sorge Stratfield Saye, un piccolo villaggio che dal 1817 ospita la tenuta nobiliare del Duca di Wellington (il mitico ammiraglio protagonista nel 1815 della battaglia di Waterloo).
Se fate un salto indietro, ricorderete che un accenno a questo posto l’ho già fatto, qui.
Bene, a me semplicemente è venuta voglia di riparlarne, perché ci tengo a trasmettervi la bellezza di certi luoghi, perché è una splendida giornata di sole, perché è raro essere “dirimpettai” di una famiglia nobiliare (o di ciò che ne resta) e soprattutto perché io fra un attimo sveglio la mia dolce compagna e vado a farci colazione!
Stratfield Saye è il tipico british village, raccolto e riservato, in cui ci si conosce praticamente con tutti, ma socializzare pure con la famiglia della porta accanto diventa davvero difficile, a meno che non ti trovi per strada per la passeggiata mattutina col cane, al pub a bere un birra oppure alla bottega della famiglia Wellington a fare spesa e colazione.
Io che non ho un cane ed al pub ci vado con qualche amico per starmene tranquillo, ho scelto il fine settimana per fare due chiacchiere con il vicino. Nel piccolo farm shop assaggio il formaggio del giorno, scelgo un po’ di verdura, adocchio il taglio di carne da proporre agli ospiti in serata, prendo anche le uova, freschissime e con il mio “paniere” della spesa siedo al tavolino e faccio colazione col primo che capita.

- Good Morning
- Good Morning to you Remo, how are we today?
- Very well thank you, how about yourself?
- Now, what have you got there! What are you cooking tonight?
- You know, nothing special, just a few things, my mates are coming around for dinner…


E cosi fra una tazza di caffè ed una calda fetta di torta, passo buona parte della mattinata, ritrovo una dimensione tutta mia, sono felice e mi aggiorno pure su quello che succede in paese!
Adesso, permettete, scappo a fare colazione. Vi auguro una buona giornata!

Remo Morretta

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giovedì, novembre 1

Ragù di braciole, il profumo di Napoli

'O rraù ca me piace a me m' 'o faceva sulo mamma.
A che m'aggio spusato a te, ne parlammo pè ne parlà.
Io nun songo difficultuso; ma luvà mmel' 'a miezo st'uso.
Sì, va buono: cumme vuò tu. Mò ce avéssem' appiccecà?
Tu che dice? Chist' 'e rraù?
E io m' 'o mmagno pe' m' 'o mangià
M' 'a faje dicere na parola?
Chesta, è carne c’’a pummarola. (E. De Filippo)

Domenica, una bella giornata di sole, temperatura rigida, invernale e tanta voglia, almeno per una volta, di starmene a casa da solo a contemplare silenzio, tranquillità e soprattutto buona cucina. Pensavo a quello che Stefano ha scritto qualche giorno fa (ma che in realtà ha sempre esternato) sull’importanza dei piccoli gesti, del pensare e del pensarsi, ritrovando una propria dimensione partendo dalle piccole cose. Ho fatto un tuffo nel passato, mi ci sono rifugiato, ecco, come di consueto. Ero li, nella bianca cucina della mia vecchia casa di Napoli, piccolo, seduto a tavola con le gambe incrociate e lo sguardo perso a guardare mia madre preparare il pranzo domenicale. Le 9 di mattina, mentre la casa lentamente si ubriacava del profumo intenso di un ottimo ragù. Che dolcezza e quanti ricordi. Ho voluto riviverli. Ecco come è nata la ricetta di oggi. Il ragù napoletano in una delle sue splendide varianti, la braciola.

Ingredienti x 4 persone

4 fette di carne di vitello
500 gr di pomodori pelati
6-7 cucchiai di olio extravergine d’oliva
10 foglie di basilico fresco
1 cipolla rossa
1 spicchi d’aglio
uva passa
pinoli
parmigiano a pezzetti
½ bicchiere di vino roso
sale
pepe

Preparare le braciole. Spolverare la carne di sale e pepe, condirla con aglio, formaggio, basilico, uva passa e pinoli, arrotolare e legare con dello spago. Rosolare le braciole in olio extravergine d’oliva per qualche minuto. Sfumare con del vino rosso ed aggiungere la cipolla, precedentemente tritata. Dopo 5 minuti circa aggiungere il pomodoro tagliato a pezzetti, portare a bollore, abbassare la fiamma e coprire con un coperchio La cottura della carne probabilmente richiederà più acqua di quanta ne contengono i pomodori. In tal caso bisognerà aggiungerla. Lasciar cuocere il ragù per 2-3 (per chi avesse più tempo a disposizione consiglio una cottura di 4-5 ore). Quasi a termine cottura aggiungere il basilico, da spezzettare con le dita e solo adesso salare e pepare.Una nota (chiedo scusa). Il ragù va girato pazientemente con la “cucchiarella” di legno, per raccogliere il condimento che poco a poco rimane attaccato alle pareti della pentola. Buon appetito.

Remo Morretta

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