lunedì, gennaio 29

Taurasi: l'aglianico che sfida il tempo

Nel 1928 l'aglianico viaggiava verso Bordeaux. Il vino dell'antica Taurasia dalle vigne opime partiva da un piccolo paese rurale che domina la valle del Calore: Taurasi.vino. uomo. vigna. E' già nel Settecento che la storia del Taurasi si intreccia con quella di una famiglia sposata con il vino e giunta ora alla decima generazione di vitivinicoltori: Mastroberardino. Sono Angelo, Antonio e Walter che negli anni sessanta scommettono di puntare solo ed esclusivamente su vitigni autoctoni locali. Il loro coraggio è premiato dalla natura con la riserva annata 1968. Simbolo e perfezione. Un rosso nobile eccellente che identifica nel mondo un territorio; una bottiglia che lascia una traccia raccontando una storia. Un vino che emoziona, da una terra di eccezionale vocazione vinosa come scrisse Luigi Veronelli. Nel 1970 il Taurasi diviene DOC, dal 1993 è una DOCG e sono solo 17 i comuni di origine interessati alla produzione. Almeno 3 anni di invecchiamento, di cui uno in legno, a partire dal primo di dicembre. Per la riserva occorre un anno in più e 18 mesi di botte. E' un vino classico il Taurasi, che non perde di vigore ma bensì col tempo acquista eleganza e profondità. Ti seduce senza dimostrare mai i suoi anni: è il passare dei giorni ad ammorbidirlo e ad affinarlo, rendendo i tannini più arrotondati, i profumi più complessi, i sentori più speziati. Per noi del Maiale Ubriaco il Taurasi è sicuramente il Radici riserva di Mastroberardino (etichetta bianca) 1997. Vino pronto a sfidare gli anni nella sua longevità. Il gusto antico di un tempo che fu. Impossibile poi non pensare ad Antonio Caggiano e al suo Vigna Macchia dei Goti, a Salvatore Molettieri da Montemarano con il Vigna Cinque Querce (celebratissima l'annata 99, pluripremiata la 2001) alle Cantine Lonardo, Contrade di Taurasi e all'entusiasmante riserva 2001, a Terredora con il cru Campo Re. Feudi di San Gregorio invece firma tutto ciò che è innovazione in Irpinia. Affida il design a Massimo Vignelli, italiano trapiantato a New York. Immagina una comunicazione strategica e un marketing solido. Crea dal nulla Marennà. I due Taurasi aziendali, prodotti in svariati esemplari, si presentano sempre ben pronti già appena stappati; insomma da bere anche a breve termine. Ci piace però pensare che ci siano ancora piccole realtà che continuano la loro modesta e onesta piccola produzione, puntando sul massimo della qualità, sullafatica del lavoro spinta della forza della passione. E' il caso de La Torella, direttamente da Taurasi, con una sorprendente annata 99 dall'ottimo rapporto qualità prezzo! Seguiamo inoltre con attenzione aziende interessanti come i Capitani di Torre le Nocelle, Antica Hirpinia proprio di Taurasi e Villa Raiano di Serino. Prima di bere questo vino robusto vi consigliamo di stapparlo almeno 2 ore prima, e di seguirne a naso l'evoluzione. Iniziate con del culatello eclanese, con una veloce zuppetta di fagioli e proseguite con una pasta con ragù di porcini e salsiccia, con un gran cinghiale, con della selvaggina, con le carni al forno. Il nostro vino strutturato duetta bene col pecorino stagionato e con i salumi della tradizione, non escludiamo però la degustazione come vino da meditazione, quindi assoluto, seduti in comodità di fronte al camino in compagnia di un sigaro o di una pipa. Chi passa per Taurasi non può perdersi una cena Da Pino, cucina tipica tradizionale, in via Matteotti, zona centro, mitico ristoratore, accoglienza folkloristica. Attendiamo molto fiduciosi i grandi risultati che potrà darci l'annata 2006, nell'attesa vi aggiorniamo.

giovedì, gennaio 25

aglianico: il vino che macchia


il maiale è ubriaco, quindi trovandoci in terra campano-lucana il vino non può non essere che aglianico. la storia di questo vitigno indomito è scritta nei solchi rugosi delle mani dei viticoltori. quest'uva è il coraggio dei contadini. è la voglia dei vignaioli di non fermarsi mai di fronte a nulla: la fillossera, la guerra, il sisma, il metanolo...
non fermarsi. testa dura: ripartire e ricostruire!
l'origine di questo vitigno è antichissima. dalla Grecia giunge in Italia (per la precisione in Magna Grecia) nel VII secolo a.c. dapprima col nome di ellenikon (hellenico), sono poi i romani a ribattezzarlo vitis ellenica ed infine ellanico diventa aglianico in tempo di dominazione spagnola.
un vino che profuma di ricordi e memoria: l'antica Venosa, città di Orazio; le tante grotte scavate nel tufo a Barile; l'irpina "ferrovia del vino" che da Avellino portava in Puglia; la festa dell'uva di Solopaca a settembre; le antiche tradizioni del territorio cilentano.
quest'uva necessita di terreni vulcanici e argillosi, di zone collinari, di lunghe attese, ma è estremamente affascinante notare come le sfumature e le differenze da zona a zona possano diventare piacevoli elementi di sorpresa. è questa la ricchezza dell'aglianico: lo stesso vitigno, diversi terroir.
in Basilicata ad esempio è ancora molto diffusa l'abitudine al vino sfuso, se non addirittura al vino fatto in casa; nelle zone di Rapolla, Rionero, Melfi, Barile, Venosa, Ginestra può ancora capitare di imbattersi in piccolissimi produttori che col tradizionale metodo della rifermentazione in bottiglia producono spumante rosso da uve aglianico.
è su questo territorio, ricco di natura incontaminata (come ad esempio i meravigliosi laghi di Monticchio), che nasce l'unica DOC della regione: l'aglianico del vulture. aziende storiche come Paternoster, Cantina di Venosa, Cantine del Notaio e Basilisco, vini come il Macarico di Rino Botte, il Grifalco del toscano Fabrizio Piccin, il Masquito dell'avellinese Rocco Moscariello, rappresentano, seppur con le loro evidenti differenze, i picchi massimi dell'enologia in zona.
dalla lucania al taburno, con la sua DOC e l'estrema freschezza dell'aglianico beneventano e subito si pensa a Torrecuso, piccolo borgo medioevale, città del vino, prima in Europa ad aver vietato nel suo territorio l'uso dei trucioli. in rapida rassegna non si può non segnalare gli uomini del vino come Orazio e Libero Rillo di Fontanavecchia, il loro Grave Mora, la riserva Vigna Cataratte, il rosato o addirittura la grappa; aziende dai grossi numeri come la Cantina del Taburno con il potente Bue Apis (da un'antichissima vigna centenaria), il Fidelis e il Delius. ancora Mustilli a Sant'Agata dei Goti; Ocone, cent'anni di vino; e il giovane amico Pompeo Capobianco, dell'azienda agricola Caputalbus, a Ponte da seguire con molta attenzione.
da Benevento ad Avellino il passo è breve e tralasciando solo per il momento la DOCG Taurasi è bene soffermarsi sul Terra d'Eclano dell'azienda agricola Quintodecimo, vignaioli in Mirabella Eclano, del professore Luigi Moio. anno 2004 prima vendemmia: 5.600 bottiglie, 100 magnum, 20 doppio magnum. da comprare a scatola chiusa, una bottiglia da far evolvere nel tempo. una menzione speciale va agli amici di Ariano Irpino Cantine Giardino (Nude, Drogone, Le Fole) e poi ancora da Ariano ricordiamo il Pitatza (la pazienza di un geco) una piccola chicca, il regalo di Igor Grassi e Fortunato Sebastiano.
il tour prosegue con la zona salernitana: l'aglianico igt colli di Salerno 2004 di Mila Vuolo, solo 1.600 esemplari da vigne biologiche, siamo solo all'inizio, ma nel tempo ne sentiremo parlare spesso.
si finisce con l'impenetrabile aglianico del cilento, con i suoi tannini risolti: il Respiro di Rotolo, il Cenito di Maffini, e le grandi performance di De Conciliis quali il potentissimo Zero supercampano, il premiato Naima, il popolare Donnaluna e un grande passito (il Ra!).

continua...

domenica, gennaio 21

orecchiette con peperoni cruschi

"I nostri peperoni sono coltivati in Italia in terra di Basilicata. Hanno sapore dolce, fragranza intensa, polpa molto sottile. Una volta raccolti, da agosto a settembre, vengono infilati in lunghe collane e messi ad essiccare lentamente in modo naturale. I peperoni secchi fritti, croccanti e aromatici, comunemente detti "zafarani crushc", rappresentano il piatto più tipico della cucina lucana." Questo è quanto si legge sull'etichetta delle confezioni da 100 gr di peperoni cruschi Pennella, una delle aziende produttrici. Alla confezione è allegato un piccolo opuscolo informativo in cui, oltre alle caratteristiche del prodotto, è possibile leggere del Progetto Pollino Filiera Ortofrutta, nato nel 2002 e che impegna i produttori a coltivare secondo la Tecnica dell'Agricoltura Integrata. Il Maiale Ubriaco propone oggi questo piatto tipicissimo della tradizione povera e che riscopre un prodotto dal sapore unico e inconfondibile.

Ingredienti

100 gr di orecchiette fatte a mano

3-4 peperoni "Zafarani" cruschi

una buona manciata di cacioricotta appena grattugiato

olio extra vergine

uno spicchio d'aglio

In una pentola capace mettere a cuocere la pasta. Nel frattempo riscaldare in una padella una discreta quantità d'olio extra vergine. Farvi imbiondire lo spicchio d'aglio, poi eliminarlo e spegnere il fuoco. Immergere nell'olio tre o quattro peperoni cruschi precedentemente privati del picciolo e dei semi e puliti con un panno umido. Lasciarli rosolare appena, avendo cura che rimangano di colore rosso-porpora acceso. Poi metterli da parte in una terrina. Scolare la pasta e condirla con tutto l'olio, una parte dei peperoni sbriciolati con le mani e abbondante cacioricotta. Impiattare aggiungendo i peperoni rimasti tagliati in pezzi.

mercoledì, gennaio 17

peperoni cruschi

Odori, ricordi e profumi di infanzia.
Le donne in agosto nei cortili intente a preparare conserva di pomodoro. Fasci di origano e peperoni lunghi e rossi insertati a formare lunghe corone: le serte di peperoni appese per poco più di un mese nelle zone d’ombra dei balconi o fuori le cantine. I paesi della Lucania, da agosto a settembre, si colorano di rosso. L’architettura urbana assorbe queste macchie di colore che poi col tempo ed il vento leggero diventano porporine, mantenendo un’accesa luminosità. Ancora una volta, e lontano nel tempo, fu Cristoforo Colombo a portare in Europa il capsicum annuum, solanacea originaria delle calde regioni americane che ha poi trovato condizioni climatiche favorevoli nell’Italia del Sud. La semina avviene dalla terza decade di febbraio alla seconda decade di marzo. Il trapianto verso la fine di maggio e il raccolto a partire dai primi giorni di agosto, quando le bacche raggiungono la tipica colorazione rossa.
I peperoni sono detti “cruschi” proprio perché, terminato il periodo di essiccazione, diventano croccanti e asciutti, cioè privi di tutta l’acqua che essi contengono. In dialetto lucano, con piccolissime variazioni a seconda del territorio, sono detti puparuol crushc. La zona di maggiore produzione è situata ai piedi del Parco Nazionale del Pollino e comprende i territori vocati dei comuni di Senise, Francavilla S.S., Chiaromonte, Valsinni, Colobraro, Tursi, Noepoli, S. Giorgio Lucano, Sant'Arcangelo, Roccanova, Montalbano Jonico e Craco. Le serte, vere e proprie collane che si ottengono mediante la legatura dai piccioli di molti peperoni con filo di cotone, fanno parte del mio immaginario fanciullesco e mi riportano a incredibili tramonti in cui queste, dondolanti agli angoli dei balconi, sembravano spauracchi difensori di ogni abitazione. Dal 1996 il peperone di Senise ha ottenuto il marchio I.G.P. (indicazione geografica protetta) riconosciutogli dall’Unione Europea ed è oggi (ma lo è sempre stato) “uno dei protagonisti della cucina non omologata del Mezzogiorno” (L. Pignataro). Il Consorzio di Tutela dei Peperoni di Senise conta circa trenta produttori. La CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) ha dato vita ad un Comitato Promotore in cui sono stati coinvolti il Comune di Senise, la Comunità Montana Alto Sinni e l'Università della Basilicata. In questo modo si è riusciti a salvaguardare la cultura e l’economia del Peperone che è disponibile in moltissimi mercati e per tutto l’anno. Generalmente viene venduto essiccato in piccole confezioni, ma si può consumare ancora fresco (nei tipi: : appuntito, tronco e uncino), o ridotto in polvere (mediante molitura: effettuata con mulini tradizionali in pietra mossi dalla forza dell’acqua) per condire primi piatti o anche secondi e contorni al forno. La polvere viene pure utilizzata per la realizzazione di formaggi locali e dei famosi salumi affumicati. Una curiosità riguarda la dicitura, in dialetto, della polvere di peperoni: gli fu dato il nome di zafarano, poiché riportava alla memoria la polvere finissima dello zafferano.
In cucina sono moltissime le ricette a base di peperoni cruschi. Va detto che il modo migliore per consumarli è friggerli in olio d’oliva. L’olio, insaporito, può essere usato come condimento e la pasta fatta a mano con peperoni cruschi e molto cacioricotta è uno dei piatti tipici della cucina povera lucana. Ricordiamo anche il baccalà coi cruschi: filetti di baccalà lessato e condito con i peperoni fritti in padella insieme all’aglio e al prezzemolo.
“E che ti mangi” diceva mia nonna con un grande e bonario sorriso. Ed è proprio vero: nei miei ricordi questo prodotto ha un posto speciale. Così speciale che ho trovato la ricetta del baccalà con peperoni cruschi realizzata in Inghilterra per gli inglesi: Stockfisk with Cruschi Peppers. Ingredients: 500 g. stockfish already softened, 300 g. cruschi peppers, garlic, hot pepper, parsley, olive oil, salt. Per spiegare cosa si intendesse per “cruschi” una nota in fondo alla pagina recita così: “dried and crunchy, because let them dry in the sun”.
Che dire… da Colombo all’Italia e dall’Italia nuovamente al mondo. From Lucania with love.


domenica, gennaio 14

concierto, l'antico liquore della costiera amalfitana


Per risalire alle origini del concierto dobbiamo arrivare nel cuore delle costiera amalfitana, attraversare posti incantevoli, abbandonarci alla dolcezza e al mistero di luoghi che sembrano essersi fermati nel tempo. In un viaggio fra storia e ricordi arriviamo ad Amalfi, antica repubblica marinara dedicata, narra la leggenda, al nome di una giovane ninfa di cui Ercole si innamorò perdutamente, ma che dovette lasciare alle mani del destino di una morte precoce. Amalfi oggi è una meta turistica rinomata che conserva tutto il fascino ed i tratti dell’antica città di mare. Quasi dimenticavo però che siamo alla ricerca del liquore più antico di queste terre e che quindi pure se a malincuore dobbiamo allontanarci leggermente dalla costa ed arrivare a Tramonti, un piccolo e incantevole borgo incastonato nella montagna, “intra montes” appunto. Anzi, occorre andare ancora più su, verso le tante piccole e poco conosciute frazioni che si annidano in questa zona, fino a Pucara e alla biblioteca del monastero delle Clarisse di SS Giuseppe e Teresa. È qui che, consultando gli antichi registri delle spese delle suore, gli abitanti del luogo sono riusciti a risalire agli ingredienti ed alle spezie all’epoca acquistate per la preparazione del liquore concierto e che da allora conservano gelosamente, tramandandone i metodi di preparazione da una generazione all’altra. La tradizione narra che una suora, poco capace nell'arte culinaria, ma brava organista ed esperta conoscitrice di musica, ogni qualvolta capitasse per turno in cucina fosse costretta a sopportare le lamentele delle consorelle. Un giorno decise di preparare un rosolio, utilizzando buona parte delle spezie che trovò in dispensa. Escogitò una ricetta a base di caffé, orzo, cannella, chiodi di garofano, calamo aromatico, corteccia di china, bucce di limone, bucce di arancia, vaniglia e tanti altri ingredienti mescolati insieme, a cui diede il nome di "Concierto", giusta la sua predisposizione per la musica. Il liquore ebbe un successo incredibile in convento e le sorelle ne chiesero insistentemente ricetta e dosi. Suor Cecilia però tenne il segreto fino alla fine dei suoi giorni e questo alone di mistero accrebbe la fama del rosolio, tanto da dare origine in tutte le case della Costiera Amalfitana all’impresa di imitarne la ricetta.Mirto, anice verde e finocchio selvatico, simboli della macchia mediterannea, presenti lungo i bordi dei sentieri che attraversano questi monti con spettacolari paesaggi a dirupo sul mare, ma anche zenzero, curcuma, vaniglia e noce moscata, probabili ingredienti, forse approdati sulle nostre terre nel periodo delle repubbliche marinare. Tutto sapientemente miscelato per dare origine ad un prodotto forse poco conosciuto, ma dall’indiscutibile valore.Esistono delle dosi, per un litro d’alcol, reperibili nelle locali erboristerie o farmacie, composte di tre buste: una contenente sostanze già finemente polverizzate, un’altra contenente sostanze da tagliare il più sottilmente possibile, e un’ultima contenete vanillina.Per chi avesse difficoltà nel trovarle, ne riportiamo la composizione, ricordandovi però che si tratta di una ricetta segreta e che qualcosa potrebbe mancare!

25 gr anice volgare
15 gr anice stellato
15 gr cannella a stecca
10 gr chiodi di garofano
25 gr coriandoli
25 gr ginepro in bacche
25 gr sandalo rosso
20 gr càlamo aromatico
5 gr vanillina
una noce moscata
1 litro d’alcol
1 kg d’orzo
2 ½ kg di zucchero
la buccia di un limone
6 tazzine di caffé

In un recipiente alquanto capace mettere a macerare, con un litro d’alcol puro, le sostanze contenute nelle prime due buste (vanillina esclusa) per circa 20 giorni, avendo cura di agitare di tanto in tanto la soluzione. Per un liquore dalla gradazione più elevata è possibile utilizzare un po’ più d’alcol. Dopo i venti giorni, sciogliere a parte 400 grammi d’orzo in quattro litri d’acqua lasciando bollire per mezz’ora; far raffreddare e prendere, per decantazione, la parte più limpida della miscela. Riportare l’orzo ad ebollizione con lo zucchero e lasciar bollire per un’altra mezz’ora, o più precisamente fino a che non si noti una certa densità e viscosità. Dopo averla fatta raffreddare di nuovo, unire questa soluzione a quella alcolica che si era lasciata macerare per venti giorni, dopodichè si consiglia di unire la bustina di vanillina, una buccia di limone di tipo verdello e, se si vuole, aromi a piacere come il caffé. La nuova preparazione così ottenuta si lascia in soluzione per 15/20 giorni ancora, avendo sempre cura di agitare ogni due o tre giorni. Trascorso questo periodo, filtrare più di una volta e finalmente imbottigliare.

Il maiale ubriaco ringrazia Romano Verona per l' indispensabile contributo.

mercoledì, gennaio 10

marmellata di fichi secchi, mandorle e cioccolato


Naturalmente non poteva che seguire una squisita ricetta a base di fico dottato.
Per esaltarne a pieno il sapore abbiamo pensato ad una marmellata, che con un pó di fantasia diventa un interessante accompagnamento per molte pietanze. Si pensi ai formaggi stagionati, ai dolci (mi vengono in mente delle calde e profumate crostate), e perché no alla carne.
La preparazione nemmeno a dirlo é semplicissima, ed il risultato di sicuro effetto.
Nel caso in cui abbiate dei fici speziati o giá imbottiti di frutta candita, niente paura, andranno benissimo.

un chilo di fichi secchi
100 gr. mandorle
100 gr. cioccolato fondente
500 gr. Zucchero
1 ½ bicchiere d’ acqua

Preparare i barattoli per la marmellata. Tagliare i fichi in piccoli pezzi.
Versare lo zucchero e l’acqua in un tegame da confettura (l’ideale sarebbe un tegame di rame la cui forma svasata permette l’evaporazione dell’acqua contenuta nella frutta, ma trattandosi di frutta secca non abbiamo questo tipo di necessitá, ed una buona pentola antiaderente potrebbe fare a caso nostro) e fare scaldare a fiamma bassa senza smettere di mescolare. Non appena si alzerá il bollore, versare la frutta e lasciare cuocere per venti minuti a fuoco basso, mescolando regolarmente. Quindi aggiungere le mandorle e la cioccolata tagliata grossolanamente a pezzetti e invasare la marmellata ancora calda nei barattoli. Riempire questi ultimi con un mestolo, facendo attenzione a pulire la confettura eventualmente colata all’esterno. Avvitare i tappi, girare i barattoli sottosopra e lasciarli raffreddare, riponendoli in luogo asciutto.

lunedì, gennaio 8

fico bianco dottato del cilento


L'attenzione del maiale ubriaco oggi si sposta su un prodotto di enorme valore, forse il simbolo delle terre in cui cresce da millenni. Una piccola scheda con la quale intediamo confermare un processo di rivalutazione dei prodotti della nostra terra sempre piú attento e consapevole.
Il "Fico bianco del Cilento" è il risultato dell’ essiccazione di una varietà di fico chiamata “dottato” ed è un prodotto DOP (Denominazione Origine Protetta) che cresce esclusivamente nelle terre del Parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano.
Il frutto, dalla buccia gialla e la polpa particolarmente pastosa, cresce in prossimità del mare, in luoghi incantevoli, nutrito da un suolo reso molto fertile dalle particolari condizioni climatiche. Ma a renderlo ancora più speciale c’è il fatto che tutte le sue fasi di lavorazione si svolgono interamente nell'area geografica di produzione, presso piccole aziende agricole ed edifici rurali, in un processo di interazione armonioso fra uomo, prodotto e ambiente che richiama ritmi e consuetudini di una volta.
Sembra che il fico bianco sia arrivato sulle terre del Cilento intorno al VI secolo a.C. per mano dei Greci. Agli inizi, vista l’abbondanza di prodotto sul territorio e la semplicità dei metodi di lavorazione, veniva considerato come “pane dei poveri", in realtà i fichi essiccati erano utilizzati nel Cilento e nella Lucania come base alimentare della manodopera contadina. Col passare degli anni si è trasformato in un alimento pregiato, consumato soprattutto durante le festività invernali. Viene raccolto fra Agosto e Settembre, ma viene messo in commercio soltanto a Dicembre, quando oramai sulla superficie del frutto si è formata la tipica efflorescenza zuccherina, segnale di maturazione del prodotto essiccato.
Le modalità di preparazione sono diverse. I fichi (a volte dopo essere stati sbollentati in acqua aromatizzata con alloro, finocchietto o altre essenze naturali) si fanno asciugare e si passano in forno (i più fortunati possono anche farli essiccare al sole).
Forse il modo migliore per gustarseli è al naturale, ma si possono anche “impaccare”, ovvero riempire con noci, mandorle, finocchietto selvatico o frutta candita. Vengono successivamente “steccati”, ossia infilzati con degli spiedini di legno, oppure conservati in grosse ceste di vimini, dove potranno rimanere per mesi…fame e golosità permettendo!

Abbinamenti Gastronomici. Il fico secco può essere abbinato ad un vino passito, per esempio un Pér'e Palummo Passito dolce dei Campi Flegrei. Si mangia solo o anche con del pane fresco e se si vuole più gustoso ancora si accosta ad uno strato di ricotta di capra o a un formaggio ben stagionato. Anche se non di facile reperibilità al di fuori del territorio campano, il caciocavallo podolico di bufala può rappresentare un accostamento molto particolare e sicuramente da provare.
Segue, una ricettina a base di fichi secchi cilentani…occhi aperti!

giovedì, gennaio 4

Ristorante braceria "Nadì"- Matera: Sassi, crapiata & buon duemilasette

Matera. 2 Gennaio 2007.
Passato appena il Capodanno decido di muovermi dalla bellissima zona delle Dolomiti Lucane (Basilicata) alla volta di Matera. E’ prevista pioggia, ma riesco a godere fin dal primo mattino di sole caldo e poco vento. Scendo fin giù i Sassi. Anni fa avevo partecipato proprio in quella zona ad un bellissimo workshop di Antropologia visuale. Nonostante la “cittadella” abbia beneficiato molto del rinculo massmediatico a seguito della realizzazione, in loco, del Cristo di Gibson, tento di fingere che il film lì non sia mai stato girato. Non che non mi sia piaciuto, ma così facendo diventa più facile, a mio avviso, penetrare l’anima della vecchia città, quindi dei Sassi e della conca montuosa sulla quale affacciano. Mi immergo in fantasiosi pensieri, passeggiando in lungo e in largo, saltellando dalla Gravina alla Murgia e immaginando le antiche società rurali che fondarono e abitarono la città antica. "Matera è l'unico posto al mondo dove gli abitanti possono dire di vivere nelle stesse case dei loro avi di 9.000 anni prima" recita Fodor's, una guida inglese. I reperti più antichi risalgono a 400.000 anni fa e oggi Matera e i suoi Sassi è il primo sito al mondo dichiarato dall'UNESCO "paesaggio culturale". Anni fa (1986) fu Renzo Piano a progettare il restauro e quindi il recupero di una parte dei Sassi. Ma per vari motivi il progetto non fu mai realizzato. Ora quella striscia urbana sta trasformandosi in sistema museale: Museo della civiltà contadina, Museo demo-antropologico, Circuito delle chiese rupestri, Mostre d'arte etc., mentre una seconda parte ha natura commerciale, con pizzerie, ristoranti, alberghi, società software, negozi di artigianato tipico. Una terza parte è di natura residenziale. Passeggiando passeggiando arriva l’ora di pranzo. Come sempre e come un arcaico appuntamento rituale, la pausa per mangiare rinvia per un po’ le mie meditazioni. Evito decisamente di risalire a Matera nuova optando per un pranzo nei Sassi. Ci sono molte locande e trattorie, tutte di notevole interesse gastronomico. La mia attenzione si sofferma su di un giovane ristorante & braceria, aperto se non erro in ottobre 2006. Il Ristorante Nadì si trova presso il Sasso Barisano, a conclusione di una splendida passeggiata. L’ambiente è decisamente accogliente ed il servizio impeccabile. Credo di aver già detto altrove quanto mi infastidiscano quei camerieri che se ne stanno lì a guardarti nell’attesa che tu abbia finito di mangiare. Beh..non è certo il caso del ristorante Nadì. Al contrario il clima che si respira è molto rilassante e il servizio molto discreto. Poco piacevole brusio e odore di carni arrostite su di una capiente brace sono gli ingredienti tipici che accompagnano la sosta presso il ristorante. Appena all’ingresso due grosse botti rammentano la mescita di vino disponibile: Rosso Basilicata, dal colore chiaro e Primitivo del Materano, più scuro e decisamente ottimo. Lascio perdere i secondi che approfondirò in un prossimo appuntamento (varia la scelta delle carni: fiorentine di manzo podolico della lucania, agnello nostrano, salsiccia di maiale, costate di vitello, gnimredd – interiora – ecc.). Opto (anche per restar leggeri quindi proseguire nella passeggiata) per un antipasto lucano (salumi e formaggi nostrani, in particolare un delizioso fagottino di pasta di mozzarella ripieno di dolce e leggera panna; burratine, ricotta forte, cacioricotta e formaggio di fossa), quindi la tradizionale crapiata (minestra di grano,ceci,cicerchie,fave e fagioli). Per concludere un’ottima torta di ricotta e cioccolato delicata e ben misurata nella ricotta. Al contrario sarebbe risultata poco digeribile. Una buona grappa di Aglianico saluta con me l’appuntamento tradizional-mangereccio nell’incantevole cornice dei Sassi di Matera. Al calar del sole e in una leggera pioggerellina abbandono la cittadina ritornando verso casa.
Ristorante-braceria Nadì - via Fiorentini, 1/3 (Sasso Barisano) Matera

Colgo, insieme ai miei collaboratori, l’occasione per salutare tutti coloro che ci seguono, ci hanno seguito e ci seguiranno. Come un pochino si sarà capito, Il Maiale Ubriaco sta lavorando per approdare, nel più breve tempo possibile, ad un completo rinnovamento. Rinnovamento di stile, organizzazione ed estetica. Solo l’etica e gli intenti rimarranno gli stessi: è nostra la volontà di raccontare a voi e insieme a voi la tradizione gastronomica campana, cilentana e lucana, come si disse nella intro di quel fatidico venerdi 24 marzo 2006. Appena 10 mesi fa. Non dimenticando, all’interno di un universo gastronomico che per forza di cose segue le linee guida dell’impoverimento culturale dettato dalla globalizzazione, che il recupero delle tradizioni, nel nostro caso un recupero gastronomico dell’origine e della convivialità, si rende necessario a noi per rispettare - e continuare a farlo - uno degli elementi chiave della fondazione dell’identità culturale dell’uomo: il cibo, la tavola, la gastronomia e in essa gli usi e i costumi. Siamo coscienti della piccola goccia che rappresentiamo all’interno di questo grande mare. Così come teniamo bene in conto gli errori fatti e che faremo. Ma, banalmente, sbagliando si impara. Quello che a voi deve rimanere chiaro è la volontà, la passione e l’etica che ci ammantano il capo in questa nostra impresa. Ogni suggerimento, critica o sberleffo, se ben costruito, ci sarà di aiuto e sarà ben accetto. Dunque un buon 2007 a tutti dal profondo. E a presto con il nuovo Maiale. Nel frattempo si continua…