martedì, ottobre 30

Tortine di mele e cannella: il buon giorno si vede dal mattino [#2]!

Non molto tempo fa abbiamo aperto un capitolo sulla prima colazione che vale la pena di proseguire, stamane, riagganciandoci pure a quanto detto sabato a proposito di ritmi lenti e buoni propositi per pensare noi stessi attraverso la gastronomia e la buona tavola. Cominciamo di primo mattino: una buona tazza di latte fresco, caffè delle migliori miscele e queste squisite tortine che potremo comodamente preparare per tempo nel week end, godendone per buona parte della settimana. Una preparazione semplice e genuina che può aiutarci a cominciare bene la giornata. Il Maiale sa che molti hanno ritmi serrati e proprio non riescono a uscire dal canonico cappuccino + cornetto al bar, preso di fretta e furia prima di affrontare una giornata di lavoro. Ma, avete fatto caso a quanto dura il senso di pienezza che questo tipo di colazione regala? Io si.. e intorno alle dieci, più o meno, ogni volta ho nuovamente fame. Il consiglio è, per quanto possibile, di guadagnare un pò di tempo in più nel primo mattino, appena svegli. Di dedicare un attimo in più ad una buona colazione per vedersi sorridenti ed appagati nel resto della giornata. Del resto è un consiglio quasi banale; leggiucchiando qui e lì tra le varie riviste sempre si incappa in argomenti del genere. Ma non è mai superfluo dire che piccoli gesti come questo vanno a costruire un universo di buone abitudini che col tempo lasciano scoprire una quotidianità migliore. Pensare a pensarsi. Amare i piccoli gesti. Magari non tutti i giorni se proprio non ci riuscite, ma anche solo nel week end. Ciò che importa per noi, adesso, è ritrovare pienezza di spirito partendo dalle piccole cose. Buona giornata!

Ingredienti

250 g di mele (Golden o Stark)
1 cucchiaino di succo di limone
200 g di farina bianca
175 g di zucchero
1 cucchiaino di lievito in polvere
1/2 cucchiaino di bicarbonato
2 cucchiaini di cannella in polvere
1 pizzico di sale
2 uova
150 g di burro morbido
7 cucchiai di latte
1 cucchiaino di zucchero a velo

Lavare e sbucciare le mele, tagliarle a dadini e irrorarle con il succo di limone. Mescolare la farina setacciata, lo zucchero, il lievito, il bicarbonato, la cannella e il sale. A battere battere le uova e incorporarvi il burro e il latte. Aggiungere un pò alla volta la miscela di farina, poi le mele e amalgamare bene l'impasto. Distribuirlo negli stampini precedentemente imburrati e infarinati, riempiendoli per 3/4. Cuocere in forno a 180° per circa mezz'ora (verificare sempre la cottura con un bastoncino di legno). Una volta raffreddati disporli su di un piatto di portata e spolverizzare con lo zucchero a velo.

Stefano Tripodi & Daniela Caselli

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venerdì, ottobre 26

Farmers Markets = Mercati della Terra

Il post del sabato. Quando c'è è sempre light, breve nella sua estensione. Ma deciso. Saggio. Che sia una ricettina per stuzzicare l'appetito o una breve riflessione su quello che siamo e andiamo a fare, mangiando. Lo spunto proviene da Repubblica, esattamente una settimana fa. Sabato 20 ottobre 2007. In home page Carlo Petrini racconta l'esperienza dei Farmers Markets americani e britannici per arrivare a quelli che Slowfood ha già chiamato Mercati della Terra. Ma cos'è un Farm Market? Si tratta della possibilità di comprare prodotti agroalimentari direttamente da chi li produce e la cui provenienza è strettamente legata al territorio di produzione. Non come accade nei nostri mercati (parliamo di noi!) dove l'80% di ciò che compriamo ci è venduto da altri che comprano da altri. La dimensione umana, che è una dimensione piccola, slow, per quanti ne siamo e per quante cose facciamo, necessita della possibilità non solo di acquistare un prodotto di fiducia, ma soprattutto di vedere realizzato uno "scambio di conoscenze". In Italia esiste un Decreto del Ministero delle Politiche Agricole la cui premessa dice che risulta opportuno promuovere lo sviluppo di mercati in cui gli imprenditori agricoli, esercitando la vendita diretta, possano soddisfare i consumatori facendo in modo che acquistino prodotti agricoli direttamente legati al territorio di produzione. Il Maiale ubriaco appoggia questa possibilità. Che si realizzi. Del resto ne abbiamo parlato in tempi e modi diversi. Invitando sempre tutti ad educare le proprie scelte d'acquisto. Purtroppo la logica del supermarket, che funziona primariamente basandosi sul diametro di un frutto e il corrispettivo in peso e poi in euro, ha già penalizzato e sempre penalizza la possibilità di comprare, prima di tutto, un gesto, un luogo della memoria, una parola, un assaggio, il piacere della conoscenza.

Stefano Tripodi

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mercoledì, ottobre 24

Mario, Eduardo e il pernacchio di Zucchi

Dietro la copertina di questo taccuino, di fianco la prima pagina su cui appuntai l’emozione che mi diede il Frappato di Vittoria di Arianna Occhipinti – è vero amico mio, l’ho conosciuta, ed hai ragione: i vini somigliano a chi li fa – ho scritto: I vini che rincorro attraverso l’Italia sono, dunque, eccezioni alla melanconica regola: vini tra i pochi, tra gli ultimi, che non siano soltanto nomi e niente di più. Come quelle affettuose dediche che talvolta mi lasciano coloro che mi regalano un libro.
Credo di aver citato passi di Vino al Vino di Mario Soldati tante di quelle volte senza aver mai scritto ciò che avrei dovuto. Compratelo e leggetelo. È l’unica cosa che porto con me, insieme al taccuino, in questo viaggio: E perciò continuo a ripetere quanto ho già detto: non faccio questo viaggio per poter poi descrivere un vino ai miei lettori; ma solo per invitarli a viaggiare a loro volta, e a scoprire così altri vini, tutti e sempre diversi, perché il gusto di un vino significa qualcosa solo in rapporto alla persona che lo beve, e al luogo e all’ora e alle condizioni in cui lo beve.
Fresco e fragrante, il Lambrusco di Sorbara di Zucchi si concede rapido al naso con una profusione di piccoli frutti rossi che subito invogliano ad un sorso pieno e godurioso che si chiude con l’ardente desiderio di farne passionalmente un altro grazie all’acidità tagliente che non concede nulla a qualsivoglia ruffianeria. Secco ed immediato, racchiude in se la cultura della semplicità. Credo che l’unico abbinamento possibile sia con l’ultimo episodio de L’oro di Napoli, film tratto dai racconti di Giuseppe Marotta, sceneggiato da Zavattini per la regia di De Sica.
Spero vi siate goduti le immagini che vi ho proposto. E se non lo avete fatto vi consiglio di farlo prima di continuare a leggere. L’allegria che proverete è identica a quella che mette il Lambrusco di Zucchi. E poi c’è altro. Appoggiando l’orecchio, sì l’orecchio, non il naso, al bicchiere, ho iniziato a sentire il fricicchio delle bollicine che salivano dal fondo trasformarsi…trasformarsi in un pernacchio. Un bel pernacchio indirizzato a tutti noi. Tutti noi di questo mondo enoico, nessuno escluso e me per primo perché chi più sciocco di me, e chi più senza fede? come scrisse Walt Whitman. A tutti noi che il vino lo degustiamo, lo valutiamo e lo sputiamo. Che lo compriamo, lo raccontiamo e lo numeriamo. A tutti noi che lo critichiamo o lo elogiamo, lo premiamo o lo sputtaniamo, e che spesso ce la crediamo e ce la cantiamo. A tutti noi che lo produciamo, lo rappresentiamo e lo vendiamo.
Ma quel pernacchio è utile anche a tutti voi. Perché Zucchi ricorda con il suo fricicchio pernacchiante le parole di Don Ersilio: con un pernacchio come quello che vi ho fatto sentire io, si può fare una rivoluzione!
Amen.

Azienda Agricola Zucchi Davide
via Viazza, 64
- San Prospero sulla Secchia, Modena
Tel e Fax: 059.908934
www.vinizucchi.it

Mauro Erro - Taccuino di un giovane bevitore

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venerdì, ottobre 19

La Ciambella al mosto dei Castelli

Ci sono momenti nella vita in cui pensi di essere la persona più fortunata del mondo e succede nel momento in cui inizi ad apprezzare la natura del posto in cui sei nato e cresciuto. Le tradizioni iniziano ad assumere un significato profondo, s’impossessano di te e arrivano a toccare le radici profonde della tua esistenza. I sapori e gli odori si mescolano ai ricordi e nasce l’amore e l’attaccamento a tutto ciò che è memoria e costume.
Capita poi, a persone come me, di avere diverse origini e di ritrovarsi come divisa tra distinte tradizioni che cambiano anche radicalmente tra loro ma che hanno come base comune l’amore per la terra per i suoi frutti e la sapiente parsimonia dei suoi prodotti.
Il prodotto di cui voglio parlare oggi ne è un chiaro esempio: sa di terra, di lavoro umile e duro, di vino, di autunno, di storia contadina.
In questo mese infatti, il Lazio è un pullulare di sagre di ogni genere, ognuna sulle prelibatezze di stagione. Tra tutte, la Sagra dell’Uva a Marino, in provincia di Roma.
Il profumo del mosto che aleggia per le strade e l’espressione felice dei contadini che vanno avanti e indietro con i trattori traboccanti di uva pronta per la spremitura ha un che di commovente. Perché andare “a svinà” non è solo una festa. E’ un rito quasi sacro. Tutto quello che viene prodotto va assolutamente riutilizzato. Perché e nella tradizione non buttare nulla di quello che la terra generosamente offre, soprattutto quando si tratta di vino. Un po’ come la storia del maiale, di cui non si butta mai via nulla.
E’ qui che nasce la ciambella al mosto. Quando il vino il contadino lo teneva un po’ per se e tanto ne era costretto a vendere, per ripagare i debiti contratti durante l’anno in bottega e per andare avanti fino alla vendemmia successiva.
Questa è la storia di mio nonno e di mille altri contadini.
E questa è la ricetta delle formidabili ciambelle di mia nonna, quando di mosto ce n’era davvero tanto da inebriare i sensi di tutto il paese.
Ne esistono due versioni, una morbida e l’altra “a biscotto” (che altro non è che la classica ciambella al vino). La versione morbida prevede l’uso dell’anice in semi e dell’uvetta e ha gusto e fragranza completamente diversa dalla sua sorella “dura”.

Ingredienti (versione morbida)
700 gr di farina 00
mezzo bicchiere di olio evo
due cucchiai di zucchero
1 panetto di lievito di birra
sale
mosto d’uva fresco di spremitura (quanto basta per avere un impasto morbido ed elastico)

Mettere la farina a fontana e scavare un pozzo. sbriciolare il lievito e aggiungere un cuchciaio di acqua tiepida. aggiungere poca farina e lasciare lievitare per mezz’ora. Aggiungere l’olio, lo zucchero, il mosto ed impastare. Aggiungere il sale. Aggiungere l’uvetta (precedentemente ammorbidita) e i semi di anice.
Lasciare lievitare finché non raddoppia al riparo da correnti.
Riprendere l’impasto e formare le ciambelle.
Cuocere in forno a 200° per 20 minuti, Attenzione perché coloriscono in fretta.

Le originali ciambelle al mosto sono distinte dal marchio del Consorzio di Tutela di Marino. Si possono degustare alla sagra delle ciambelle al mosto domenica 21 ottobre 2007 a Marino (RM).
Marika

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mercoledì, ottobre 17

Che fortuna scoprire il Fortana!

Il vino buono regna sulle tavole di chi è felice.
Ritorna finalmente il Maiale Ubriaco in chiave enoica dopo quasi un mese di assenza o se preferite di latitanza astinenziale. Il viaggio continua e l'itinerario odierno ci porta fino in Emilia-Romagna, in piena provincia ferrarese, tra il Delta del Po e le Valli di Comacchio, in una zona che è Parco Regionale e Patrimonio Mondiale Unesco. Potrà sembrare anche scontato e banale, ma il citare certi luoghi, mi riporta alla mente l'avventuroso Viaggio lungo il fiume, compiuto qualche mese fa da Michele Marziani alla scoperta di ciò che resta laddove ebbe origine la civiltà: il diario lo si trova on line qui, ben presto però il suo racconto dettagliato diventerà libro, ma questa è un'altra storia e magari ne riparleremo a tempo debito!
Torniamo al pezzo di oggi e ai vini doc del Bosco Eliceo di casa Mariotti. Devo ammettere che il Fortana, vitigno caratteristico di questa zona, originario della Borgogna, proprio non lo conoscevo. Mai bevuto, mai sentito, ragion per cui ne son rimasto ancor più piacevolmente colpito! Inizialmente coltivato dai monaci benedettini dell'abbazia di Pomposa, era noto semplicemente col nome di uva d'oro di Comacchio e solo molti anni più tardi, venne battezzato col nome di un certo Tenente Fortana, proprietario terriero del luogo. Se non altro la leggenda questo ci racconta.
La vite è per lo più a franco di piede, cresce rigorosamente su questi terreni sabbiosi e si presenta con un grappolo di grandi dimensioni. Gino Veronelli apprezzava fortemente l'essenza ruspante e contadina del vino che se ne produce, un vino da bere appena nato, per apprezzarne a pieno le forti caratteristiche. La famiglia Mariotti dal canto suo possiede un paio di fondi: Luogaccio e Le Saline con delle piante di circa 25 anni, ed è qui che cresce l'uva usata per il loro Fortana (100%) fermo. Un vino che ha il pregio e il privilegio di rallegrare i cuori. Vino umile, per carità, il nostro caro Fortana, per niente muscoloso, ma sincero, leggero, con un buon equilibrio di tannini e non troppo alcolico (siamo sui 12%), vinificato in accaio (sei mesi), niente legno, molto profumato, decisamente fruttato e dall'altissima bevibilità.
Un vino quindi tutto spontaneo e godereccio che accompagna il pasto, anche quello di tutti i giorni, cosa negli ultimi tempi molto rara! Un vino che è senza paragoni in abbinamento alle tipicità della cucina ferrarese quali l'anguilla, il pesce di laguna e la salama da sugo.
L'azienda Mariotti produce anche un piacevolissimo Fortana rosato dal colore straordinariamente vivo ed elegante, molto fresco al naso, con dei forti sentori di mela verde e dal gusto estremamente gentile ed elegante. Ricordiamo inoltre Le Dune Bianche, una malvasia di Candia aromatica al 100%, un potente Sauvignon probabilmente non ancora invendita e il neonato Surliè! (contrazione un po’ irriverente dal francese che sta per sui lieviti).

Azienda Vitivinicola Mariotti
La Bottega del Vino - i Vini delle Sabbie

via circonvallazione 10
- Argenta (FE)
Tel. Fax 0532.804134
http://www.boscoeliceo.net/

Giacinto Chirichella

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lunedì, ottobre 15

Blog Action Day

Albero, l'esplosione lentissima di un seme
Bruno Munari


Questo è un post light!
Metà ottobre. Disperata voglia d'autunno, un autunno che stenta ad arrivare, ma che forse ha dato il via alle danze proprio in quest'ultimo week-end. Voglia di normalità, di semplicità, di natura, desideri e sentimenti che qua e là trapelano sempre tra le righe del Maiale. A volte bisogna sfidare, così senza paura, finanche ciò che può apparire scontato. Sfoglio il Devoto Oli alla ricerca della parola ambiente, evidenziata con un corsivo di colore azzurro.
Ambiente l'insieme delle condizioni fisico-chimiche e biologiche che permettono e favoriscono la vita delle comunità di esseri viventi.
So bene che è impossibile svegliare chi fa finta di dormire, ma uno spostamento dell'asse, una pausa sulla nostra sempre serrata tabella di marcia, una riflessione ad alta voce, oggi proprio non poteva mancare; un attimo di tregua e un pensiero alla nostra maniera, come spesso accade e se Al Gore riceve il Nobel per la pace forse è il segno che con quel briciolo di etica che ci rimane è possibile smuovere certi equilibri.
Lo avevamo scritto un po' di tempo fa e lo ribadiamo con maggiore forza quest'oggi: la qualità di ciò che mangiamo non vale nè più, nè meno delle abitudini di vita e dell'ambiente in cui viviamo.
Con questo post il Maiale Ubriaco partecipa al Blog Action Day.

Giacinto Chirichella

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venerdì, ottobre 12

il Foro dei Baroni: piatti da poster e sapori in definizione...

Dopo tanta astinenza finalmente si riesce a riorganizzare una bella trasferta mangereccia, destinazione Puglianello (circa 60 km da Napoli). Ho letto e sentito parlare tanto di questo giovane chef campano cresciuto alla scuola di Antonello Colonna ma non sono mai riuscito ad assaggiare i suoi piatti. Alle 21 e 30 siamo seduti al tavolo, locale piccolo e carino, rustico ma curato nei dettagli, in particolare ci piace il centrotavola: un barattolo di vetro da conserva usato come portacandele. Iniziamo, come di consueto, chiedendo al maitre se possiamo torturare lo chef ordinando sempre (o quasi) quattro piatti diversi. Ci risponde che non ci sono problemi. Ottimo, la nostra tecnica-del-kibbutz ci permette di assaggiare tutto!
Come appetizer ci viene offerta una buona birra artigianale di Faicchio ad accompagnare una tempura di faraona su crema di cicerchie e pinoli. La preparazione non mi convince del tutto, a mio avviso i sapori sono un po’ troppo slegati fra loro. Al tavolo vengono portati pani e grissini fatti dal cuoco molto buoni, tra questi mi ha colpito un pane ai broccoli.
Arrivano gli antipasti: Peperone arrostito con farcia al profumo di pistacchi e mozzarella di bufala, cremoso di topinambur, salsa all’aceto balsamico; Ghiacciata di zucchine con olio alla menta, millefoglie di mais con morbido di caprino; Crema di fegato di pollo con cipolla in tempura, maionese al curry e salsa di rafano e xerès; Prosciutto cotto di tacchino in pasta bignè, insalatina di erbe, maionese al wasabi. Devo premettere che ho molti pregiudizi verso i piatti con nomi troppo lunghi e complicati, qui ho apprezzato la volontà dello chef di sperimentare e giocare con tanti ingredienti diversi ed anche insoliti. Tutti i piatti sono una rielaborazione di piatti tradizionali: peperone ripieno, zucchine alla scapece, fegato con cipolle e panino al prosciutto. L’antipasto eletto vincitore è il peperone, quello meno convincente la ghiacciata di zucchine (ma confesso la mia cordiale antipatia verso la menta). Molto buona la maionese al wasabi che accompagna il prosciutto di tacchino.
I primi sono: Cannoli di melanzana, la sua polpa affumicata, agretto di pomodoro, limone candito; Orecchiette con genovese di manzo in foglie di vite, salsa di scamorza; Paccheri con polpa di coniglio al vapore, salsa di salsiccia, rucola croccante. Ancora una volta la scelta di Manuela è quella vincente: le orecchiette sono davvero ottime, una genovese sui generis, ma densa ed equilibrata. Con gli antipasti ed i primi optiamo per il Solopaca bianco 2006 di Santimartini, ci manteniamo locali con un vino che risulta molto più complesso e interessante del previsto.
Si passa ben presto ai secondi: Coscio di faraona con patate, olive nere e liquirizia, pomodorini caramellati, ghiacciata di fagiolini (molto buona la carne); Stinco di vitello con emulsione di verdure, flan di cime di rapa, salsa Geje, mostarda di barbabietola con animelle in tempura (il secondo meno convincente); Cinghiale in croccante di pomodoro caramellato e mozzarella di bufala, insalata ripassata e rambutan. Per me, appassionato di selvaggina, l’impasto di pomodoro e mozzarella copriva eccessivamente il sapore del cinghiale, ma nel complesso il piatto era molto piacevole. Assaggiando i secondi piatti ho avuto la netta sensazione che lo chef si sia più concentrato sulla particolarità e spettacolarità delle preparazioni piuttosto che sul sapore finale del piatto. La ghiacciata di fagiolini, servita separatamente in un mini bicchiere, non aggiungeva nulla alla ben cucinata faraona. Così come il rambutan, a mio giudizio, non conferiva alcun valore in più al cinghiale. Per non farci mancare nulla, dal carrello dei formaggi scegliamo un pecorino di Faicchio, uno di Moliterno (ottimo), uno di pecora Laticauda e una ricotta della stessa razza. Con i secondi ed i formaggi beviamo un piedirosso in purezza locale (Kerres 2005, azienda i Pentri) che pur molto giovane mostra un bell’insieme di aromi primari e secondari ed al palato risulta piacevole ed equilibrato.
Nonostante la sazietà non possiamo esimerci dal provare i dessert: Babà al profumo di mela annurca, gelato al pepe nero e coriandolo; Spuma di patata caramellata, gelèe di aceto balsamico; Tortino ai cioccolati; Caprese (pomodori e latte di bufala!) al cioccolato. Qui il giudizio è unanime: ma dove è finito il dolce? Ad eccezione del tortino ai cioccolati le altre tre preparazioni tendevano nettamente al salato. Piccola pasticceria e ottimi vini da dessert al bicchiere per consolarci dalla delusione di non aver potuto concludere la serata facendo due chiacchiere con lo chef.
All’una passata, in macchina, piuttosto stanchi ed assonnati, ci chiediamo: torneremo a mangiare a Puglianello? Forse.

Riepilogo conto: (€ 276 x 4 persone | € 70 a persona)
4 Antipasti: € 47
4 Primi: € 46
4 Secondi: € 67
1 piatto di formaggi: € 8,5
4 Dessert: € 43

Vini: € 65
Santimartini, Solopaca Bianco € 16
I Pentri, Kerres Piedirosso € 21
4 bicchieri di vino da dessert € 18
1 bicchiere di rum € 10

il Foro dei Baroni
Piazza Chiesa
83050 Puglianello (BN) Italy
tel 0824 946033
Aperto solo la sera, anche a pranzo sabato e vestiti,
lunedì chiuso.
www.ilforodeibaroni.it

Riccardo Vecchio

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mercoledì, ottobre 10

Ravioli dolci alla composta di fichi e nocciole di Giffoni

Scartabellando qua e la, tra vecchie scartoffie e appunti sparsi, avevamo dimenticato di postare questo ricordo. Una piccola suggestione di fine estate che non stona, crediamo, in questo clima ottobrino ancora troppo poco autunnale. Trattasi di una prova in cucina molto succulenta. Un altro dolce che cerca radici nella tradizione ma che riesce a porsi per bene nella contemporaneità gastronomica. Piccoli bocconcini da addentare a fine pasto o passando in cucina tra un momento e un altro; piccole delizie profumate da gustare ripensandosi. Fermare il tempo. Lasciando spazio al gusto e alla dimensione interiore.

Maratea, fine settembre 07
Quando arriviamo il sole è ancora alto nell’orto. Nel biancore di questo mattino il fogliame della vecchia ficarra appare ancora indistinto, intorno è solo luce e silenzio. Ma ecco che i colori si fanno più nitidi, i contorni più netti, e all’occhio che pian piano si abitua appaiono, sparsi qui e là tra i rami, i frutti tardivi della passata stagione. Qui, a Maratea, alle pendici del colle S.Biagio, la natura è sempre un po’ in ritardo e si offre così, sorprendendoti sempre, seguendo il suo ritmo lento. Il bottino è scarso, solo una manciata di frutti maturi , ma non va sprecato. Vinciamo la tentazione di goderne all’istante , il sapore zuccherino solletica già il nostro palato, ma il gusto si accende e richiama altri sapori, nuove sinfonie si compongono veloci. Ed eccoci qui in cucina, le mani tuffate nel morbido impasto, a ripetere quei gestì primigeni in cui le braccia di mille e mille massaie si riconoscono. E’ bello affondare le dita, manipolare la pasta fino a che non prende la sua consistenza e scivola tra le mani , liscia ed elastica. In un attimo è pronto il ripieno, ricco di tanti profumi, sapientemente bilanciato. Non possono mancare i limoni che ci piace accostare al gusto zuccherino ma non troppo della prugna e, omaggio alla nuova stagione e al territorio, alla nocciola di Giffoni, il tutto stemperato da un’idea di vino bianco, appena fruttato, che abbiamo generosamente aggiunto anche all’impasto. Nascono così questi ravioli dolci che ora vi offriamo, dispiacendoci che occorrerà un altr’anno per poterne ancora una volta gustare la fragranza.

Ingredienti

x la pasta:

400 gr. circa di farina 00
2 uova
100 gr di margarina
6 cucchiai di vino bianco
La buccia grattugiata di un limone
Sale

Impastare velocemente e lavorare energicamente per ottenere un impasto elastico. Far riposare almeno un’oretta al fresco.

x il ripieno:

10/ 15 fichi
Qualche cucchiaio di marmellata di prugne gialle o verdi
Buccia di 2 limoni
Una manciata di nocciole di Giffoni leggermente tostate
1 o 2 cucchiai di zucchero se occorre
Vino bianco

Spezzettare i fichi e schiacciarli con una forchetta, aggiungere la marmellata ed amalgamare bene così da ottenere un composto cremoso. A parte sminuzzare nel mixer le nocciole insieme alla buccia di limone ed unirle all’impasto con qualche cucchiaio di zucchero ( la quantità va regolata in rapporto ai fichi, più o meno zuccherini) ed una spruzzata di vino.

x la marmellata:
400 gr. di zucchero per chilo di frutta
Prugne verdi o gialle
Grappa

Le prugne non vanno sbucciate. Dopo una prima cottura, passare al passaverdura e continuare fino a raggiungere una consistenza morbida. Aggiungere la grappa prima di togliere dal fuoco e lasciar riposare prima di invasare.

Esecuzione

Dividere l’impasto in due parti e stendere ciascuna in una sfoglia piuttosto sottile. Disporre sulla prima sfoglia il ripieno in piccole quantità in mucchietti distanziati come per i ravioli. Ricoprire con la seconda sfoglia e farla bene aderire intorno al ripieno. Aiutandosi con l’apposito attrezzo tagliare dei cerchi o dei quadrati. Friggere in abbondante olio avendo cura di rigirare spesso i ravioli. Quando sono freddi, spolverizzare con zucchero a velo.
Un consiglio: per il ripieno potete facilmente sostituire con una composta di fichi ed una marmellata di prugne in barattolo.

Daniela Caselli
foto: Stefano Tripodi

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lunedì, ottobre 8

Tubetti strutto e basilico

Un lunedì da maccheroni!

In effetti per il vero amante della pasta la settimana non può cominciare meglio di cosi. Seguendo le “note” del post della scorsa settimana, noi maiali ci siamo sentiti in dovere di portare in tavola quanto raccontato, offrendovi tutta la semplicità e la bellezza della Napoli che fu. La ricetta di oggi la abbiamo selezionata dallo splendido lavoro Note in Pasta, la abbiamo preparata con la massima attenzione, senza contaminazioni, mettendoci nei panni di chi qualche decennio fa sarebbe stato ai fornelli al posto nostro.
È stata un’esperienza suggestiva riprodurre questo piatto, gustarselo a tavola con un buon calice di vino rosso, accompagnato dai racconti sparsi dell' appassionante libretto e dalle note di una nostalgica tarantella.
Io questa volta non aggiungo altro, lascio a voi i commenti ed i primi passi di un fantastico tuffo nel passato. Buon appetito.

Ingredienti x 6 persone

600g di tubetti
100 g di strutto
1 cucchiaio di olio
1 spicchio d'aglio grattugiato
molto basilico
pepe
sale
3 cucchiai di parmigiano
1 cucchiaio di pecorino

Tritare finemente una buona quantità di basilico. Mentre la pasta cuoce, fare riscaldare a fuoco dolcissimo in un recipiente capace di contenere la pasta lo strutto, l'olio, l'aglio, il basilico, sale e pepe, evitando che il trito si colorisca. Scolare i tubetti ben al dente, mischiarli con i 2 formaggi grattugiati, metterli nella casseruola dove è il condimento e rigirandoli continuamente lasciar continuare la cottura per un paio di minuti a fuoco bassissimo.

Ricetta da: J.C. Francesconi, La cucina napoletana, 1992

Remo Morretta

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venerdì, ottobre 5

Note in Pasta: quante arie per i maccheroni!

Je songo nu pezzente senza casa e senza niente, me vennesse dduie cazune pe nu piatto de maccarune.

I Maccheroni, Tarantella di Pompei - 1865

Circa 3 mesi fa, poco prima dell’estate o in prossimità di essa, ricevemmo una mail con una serie di aggiornamenti circa il lavoro – appassionante, dirò da adesso – del Museo di Pulcinella di Acerra, il Centro di Cultura “Acerra nostra” Onlus e il Civico Complesso Bandistico “Giovan Battista Pinna”. Detto così suona bene ma è poco, più che altro c’è discreta messa a fuoco. Ma andiamo con ordine. A scriverci fu Tommaso Esposito, direttore del Museo di Pulcinella, persona colta e simpaticissima, che ci informava di un progetto interessantissimo ai fini del recupero della memoria, e cioè Note in PastaQuante arie per i maccheroni. Ce ne spedì subito una copia, la ricevetti io, e notando la mole del lavoro decisi che dovevo occuparmene per bene, così tenni in caldo per dopo l’estate – fino a quando avessi potuto tenere un momento di tranquillità – e da allora eccoci qua, a raccontarvi una storia che ha origini lontane e che è tutta a base di maccheroni. Note in Pasta è un disco, innanzitutto, suonato dal Civico complesso Bandistico “Giovan Battista Pinna” di Acerra e diretto dal giovane e brillante Egidio Napolitano. Sono nove tracce che gravitano tutte intorno ad una serie di indizi, appunti, annotazioni e conservatori di musica (N.d.T.) e che, composte tutte tra la metà del 1700 e la fine del 1800, hanno lo scopo e il pregio di raccontare (ed insieme ri-cordare) il gusto attraverso la parola, la musica ed il canto. E’ il gusto del maccarone, diffuso da Napoli all’Europa sulla scia del commercio dei maccaronari. Sono arie che per cento anni non si sono più cantate e che sono state riprese donando loro linfa nuova attraverso nuove sonorità. L’impianto culturale al quale tutto il lavoro afferisce, inutile dirlo, è profondo, radicato nella storia; un melting pot di credenze, miti e riti che, come sappiamo, hanno fondato e ancora fondano la napoletanità. E noi, se ricordate ne parlammo qui e qui, per arrivare a Pulcinella “inventor dei maccheroni”. Le maschere, le gioie, la seduzione, l’eros, le ossessioni eterne, si legge nel testo del fitto libricino che accompagna il disco, distinguono ed unificano il rapporto cibo – parola e cibo – musica in una serie di relazioni che incoronano il cibo come simbolo centrale dell’esistenza, poi della felicità e del benessere. Ancora una volta ci piace soffermarci su quanta cultura il meridione di Italia ha dedicato al cibo. Perché esso è ovunque, nella presenza come nell’assenza. Nei gesti e antichi rituali, quasi nel cervello, nelle idee, nella pacificazione e la serenità. Il maccherone si erge a simbolo di tutto questo; attraverso cantori dimenticati, da Giovan Battista Martini al cantante lirico Venceslao Agretti, da anonimi cantori popolari a noti musicisti come Dacci e Vincenzo Mela. Il maccarone è poesia, poesia della vita e della morte, cui si lega strettamente e parimenti alla vita, come napoletanità insegna da quando la città fu fondata. Un complesso métissage culturale che egregiamente viene fuori da questa pubblicazione. Come l’importanza del banchetto, e della musica presente in esso. Musica creata apposta e di sottofondo, o da cantare negli intervalli del convivio. Altro aspetto caratterizzante ed importantissimo è la fame, quella vera, quella dei viandanti e i malnutriti che affollavano le strade e i contadi del meridione e che il maccherone seppe placare e risolvere data la sua esagerata produzione e diffusione già a partire dal 1600, oltrechè la possibilità d’esser conservabile per gran parte dell’anno. In Note in pasta c’è tutto questo, tra parole e musica, fino anche al blasonatissimo Artusi. Piacere dell’udito, del palato, dell’occhio e dell’olfatto. Non posso non ricordare che il Museo di Pulcinella è inserito nell’elenco delle Fattorie Didattiche della Regione Campania e che questa iniziativa gode del Patrocinio dell’Assessorato all’Agricoltura ed alle Attività Produttive della Regione. Per saperne di più acquistate (ve lo consiglio davvero!) online il disco e sperimentate le ricette raccontate nel bel libercolo posto al suo interno. Noi lo abbiamo fatto per voi e ne potrete godere lunedì, quando la settimana non potrà cominciare meglio se non con un bel piatto di maccheroni.

Stefano Tripodi

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lunedì, ottobre 1

A' pizz cdd'Ov

Saranno 3 settimane circa che la mia signora è a Parigi per lavoro.
E sarà tutta la vita che ad una mancanza sostituisco cibo e bevande, cucina e cucinato. Così stamane, di buon mattino e sentendomi parecchio giù, ho deciso di mettermi ai fornelli, dopo un buon caffè (vorrei macinarlo da me..) e un'occhiata veloce ai giornali online. Mesta mattinata, ricca cucinata! Avevo diverse verdure, tra cui molta varietà d'insalata e una verza freschissima, da cui poi è venuto fuori un meraviglioso risotto. Poi delle patate bianche, che ho spaccato, ricordandomi della ricetta di Remo qui sotto, passato in forno e condito con del formaggio locale. Ma la regina della tavola (nonna mia a parte!) è stata questa pizza lucana povera povera. Avevamo, nel ricettario di famiglia, le annotazioni di tale Rocchina, una signora del paese che per vent'anni è stata al servizio di casa nostra. La pizza cdd'Ov (in dialetto lucano) è una di quelle specialità al cui gusto è legata tutta la mia infanzia. La particolarità sta nell'impasto, che deve essere molto elastico quindi ben lavorato, e nel ripieno che si ottiene dall'amalgama di ricotta fresca salata e un formaggio a pasta cruda, la caratteristica toma lucana. Andrà benissimo anche del primosale, cacio ricotta ottenuto da latte di capra. E per finire una bella salsiccia piccante. Quello che più importa è la qualità, quindi la freschezza degli ingredienti. Il Maiale insiste sempre su questo aspetto. Se di buona cucina dobbiamo parlare allora dovranno essere sempre i prodotti ad avere la prima attenzione. Per quanto v'è possibile fuggite il supermercato nel suo stereotipo. Appassionatevi a cercare un fornitore, un prodotto, riscoprite talune ritualità. Godete del mercato appena è mattino, trovate uova freschissime, frequentate i piccoli produttori locali, accertatevi della bontà e, se riuscite, non esitate a coltivare un piccolo pezzetto di terra. Anche solo un modesto erbolario darebbe con poco grandi soddisfazioni, oltrechè pace. Conclusione: A' pizz cdd'Ov è una preparazione strafacile e poverissima. Ciò che nel tempo ne ha contraddistinto la bontà sono stati solo e soltanto materie prime semplicissime di indiscussa qualità e i gesti degli uomini ripetuti nel tempo pieni pieni di amore per la propria terra.

Ingredienti
x la pasta:
400 gr di farina ( semola di grano duro)
2 uova intere
100 gr di sugna / burro
12 cucchiai di acqua
Sale

Versare la farina a cono sulla spianatoia, salare, aggiungere le uova ed il burro e, a poco a poco, l’acqua. Impastare energicamente fino ad ottenere una pasta liscia ed elastica.

x il ripieno:
500 gr. di ricotta fresca
2 o 3 uova intere ( dipende dalla grandezza)
250 gr o più di formaggio fresco tipo toma o primosale grattugiato grossolanamente o a tocchetti
Salsiccia piccante del tipo lucano ( quantità a piacere)
Formaggio grattugiato, pecorino o parmigiano ( o un misto di entrambi ) q.b.
Pepe
Prezzemolo tritato

Dividere la pasta in due parti di cui una leggermente più grande; stendere quest’ultima in una sfoglia sottile, adagiarla sul fondo di un ruoto basso ( del tipo da pastiera) precedentemente imburrato ed infarinato o rivestito di carta da forno e bucherellare con i rebi di una forchetta. Riempire con il ripieno ed eliminare la parte di pasta eccedente dal bordo lasciando che la sfoglia sopravanzi il ripieno di mezzo centimetro tutt’intorno. Stendere la seconda sfoglia, adagiarla sul ripieno e farla aderire al bordo di pasta. Incidere con un coltello o delle forbici il bordo tutt’intorno e ripiegarne all’interno i segmenti in modo alternato. Bucherellare la superficie con una forchetta e spennellarla con un rosso d’uovo sbattuto. Cuocere a forno moderato ( 180°) per circa un’ora.

Stefano Tripodi

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