mercoledì, maggio 30

crema di piselli e seppie profumata al timo

Un post allegro, leggero, portato alla luce fra un sorso di vino e l’altro. Ancora in cucina, il maiale ubriaco in versione inglese vi propone un piatto fresco fresco, da assaporare in queste strane giornate, di un’estate che seppur timida inizia a fare capolino. In sottofondo samba de duas notas , melodie sconosciute, ma che a ritmo incessante mi abbracciano, accompagnando ogni movimento della mia nuova avventura culinaria. Spero la proposta di oggi sia di vostro gradimento: gli ingredienti sono rigorosamente freschi e addirittura usufruisco per la prima volta dei prodotti del mio giardino. Che altro dire, buon appetito, di cuore!

Ingredienti

500 gr. di piselli novelli sgranati
1 piccola cipolla
1 seppia (2 o 3 se di piccole dimensioni)
sale
pepe bianco
un rametto di timo
5-6 cucchiai di olio extravergine d’oliva

Pulire accuratamente la seppia, sciacquarla e farla bollire in una pentola di acqua salata per qualche minuto. Scolarla e tagliarla in strisce che andranno passate velocemente in olio bollente, fino a renderle ben dorate e croccanti.
Intanto preparare un battuto di cipolla e soffriggerlo in olio extravergine d’oliva. Unire i piselli, il timo ed allungare il tutto con un po’ d’acqua di cottura della seppia. Dopo circa quindici minuti passare il tutto al passaverdure e riversare la crema ottenuta in una padella con un filo d’olio, facendole prendere bollore.
Servire non troppo caldo, ponendo su ciascun piatto della seppia croccante. Delizioso.

Remo Morretta

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lunedì, maggio 28

Madrid e San Isidro: ¡bienvenida primavera!

15 maggio scorso: giornata cruciale nell’ambito delle celebrazioni in onore del santo vissuto, secondo i cronisti, a cavallo tra il XI ed il XII secolo e protettore della città dal 1960, benchè il culto ed i rituali sacri e profani ad esso legati affondino le proprie radici nei secoli precedenti e si affermino nel '600, epoca della canonizzazione.
Sono questi giorni in cui l’intera città mostra in modo ancora più aperto e schietto i suoi tanti volti, giorni di rinnovamento perchè maggio vuol dire sole, voglia di star fuori ancora più del solito ed inaugurare una stagione magica di giornate che sembreranno non finire mai...
Accanto alle celebrazioni religiose, madrileni e ospiti della città si godono il cartellone culturale e musicale che trasforma Madrid in una fucina di eventi, mentre appassionati e spettatori curiosi si danno appuntamento nella Plaza de Toros de las Ventas, rinomato emblema della città, tempio della tauromachia e teatro delle oltre trenta corride che si susseguono nel corso del mese.
Sorvolo volentieri su qualsiasi tipo di discussione che da queste parti divide l'opinione pubblica in proposito (gli interessi lobbystici, il business a scapito dell'essenza dello spettacolo, i toreri contesi come grandi star e naturalmente le polemiche animaliste) : si tratta di un mondo affascinante anche perché fatto di rituali ancestrali e che senz'altro risulta poco comprensibile ad i non aficionados. Ma San Isidro significa, e tanto, anche tradizione culinaria, e sono i dolci in questo periodo a farla da padrone in tutte le vetrine di 'cose buone' della cittá: pasticcerie, ma anche caffetterie e banchetti improvvisati per le strade del passeggio, si riempiono di rosquillas (ciambelline) definite, a seconda del tipo e della decorazione, tontas, listas, francesas o de Santa Clara, per citare solo le varianti piú conosciute di questo dolce semplice ma che fa parte della 'memoria del gusto' di spagnoli di ogni etá.
Un indirizzo ‘sicuro’ per soddisfare la voglia di dolce onorando la tradizione é senza dubbio la casa El Riojano, nel centro nevralgico ed antico di Madrid: riduttivo definirla una pasticceria perché gli ambienti dal sapore antico, gli stucchi dorati e le vetrine d'antan rimandano ad atmosfere di fine secolo e galanterie di tempi ormai lontani; fondata infatti nel 1855, ha ospitato nella sua elegante sala da thé per generazioni anche tanti ospiti illustri, e non é un caso se ancora oggi delizia i palati dell'intera Casa Reale.
Plausibile quindi con queste premesse che abbiano, ehm, gentilmente declinato la richiesta che ho fatto, cioé regalarmi - e regalarci - la 'loro' ricetta delle rosquillas...Che fare? Ningùn problema! Senza metter tempo in mezzo e facendo ricorso ai miei potenti mezzi, mi son catapultata da una madrilena 'doc', che con disponibilitá ed allegria m'ha dato la ricetta di casa, non senza condirla col racconto dei suoi aneddoti - e mentre mi parlava pensavo che tutti ne abbiamo, e che sono qualcosa che con un filo invisibile unisce tutte le culture del mondo, poiché la nostra identitá al cibo ritorna e ad esso é indissolubilmente legata. Ma tornando alle rosquillas, ecco qua la ricetta, tradotta e pronta da provare!

Rosquillas

2 uova
8 cucchiai di zucchero
8 cucchiai d'olio
1 pizzico di bicarbonato
scorza di arancia e limone a piacere
liquore all'anice a piacere
300 gr di farina
olio per friggere

Disporre la farina a fontana in un recipiente ed aggiungere uova, zucchero, olio, bicarbonato e l'aroma (o gli aromi) scelti; impastrea con cura per ottenere un composto uniforme e poco appiccicoso, lasciar riposare circa mezz'ora.
Prelevare pezzetti di pasta a cui dare la forma di ciambelle di piccole dimensioni, e poi friggerle in olio non troppo caldo affinché si dorino cuocendosi all'interno. Spolverare di zucchero o decorare con la glassa. Ya está!

Sull'uscio di questa casa, lambito dai raggi di un sole di primavera inoltrata giá splendido e promettente, l'ombra di una sottile emozione mi ha bloccata per un attimo, e d'un tratto, ho pensato d'esser fortunata a vivere qui e solo qui, in questa cittá che ti accoglie con lo slancio di un'anima generosa e che ti lascia libero sapendo, come un amante di grande saggezza, che tornerai per non andare piú via.

El Riojano
C/Mayor, 10
28013 Madrid
Tel. +34 - 913664482


Angie Musci - Madrid

giovedì, maggio 24

Vitigno Italia: retrogusto amaro, anche se…

Come mi è capitato di scrivere ultimamente, in fiere e degustazioni varie ho sempre un certo disagio e rimorso che mi attanaglia. Il vino, per me, è altro.
Poi succede che a Vitigno Italia conosci un ragazzo come Luca Furlotti dell’azienda agricola Sella e bevi i suoi Lessona ed i Bramaterra, rivedi Antoine Gaita di Villa Diamante e ti diverti a sentire la sua ingenua follia raccontarsi. Saluti Ciro Picariello e la moglie, bevendo con loro i Fiano che producono e lo spumante nobilmente sincero ed “artigianale” prodotto solo per gli amici, perché difficile da vendere (???). Poi ti presentano una ragazza che si chiama Arianna Occhipinti, la saluti, e lasci che ti racconti i suoi vini, il suo olio, la sua terra, ed è pura vitalità, leggiadria, fierezza. Val la pena sopportare tanta inutilità (ovvero gran parte della fiera) per conoscere persone del genere? Si, ne vale la pena!!! Non mi andava di fare la mia personale classifica di assaggi (di cui tanti superflui). Volevo raccontare Vitigno Italia in maniera diversa. Lasciarla raccontare a chi, seppure in maniera diversa, l’ha vissuta da dentro. Stavolta lascio che sul mio taccuino siano altri a scrivere emozioni e sensazioni.
Ringrazio Arianna Occhipinti e Fabio Cimmino per la cortesia che mi hanno fatto nel condividere con me e voi le loro emozioni ed impressioni, con sincerità, onestà, con la grande dignità che li contraddistingue ed il rispetto che hanno di se stessi, del vino e della propria terra. Ringrazio gli amici e compagni di viaggio del Maiale Ubriaco, che mi hanno dato la possibilità di metter su questo post a sei mani.
Mauro Erro - Taccuino di un giovane bevitore
Vitigno Amaro…

E’ martedì 22 Maggio ed ho appena lasciato gli stand di Vitigno Italia per recarmi in ufficio. Scorrono lungo i margini della strada ancora i cartelloni della manifestazione: “In vino veritas, vitigno is business”. Mi dispiace non sono d’accordo. Fin da quando quei cartelloni hanno fatto la loro comparsa per le strade di Napoli un senso di insofferenza e di disagio ha cominciato a prendere in me il sopravvento. Neanche l’entusiasmo crescente per il successo riscontrato dalle “Piccole Vigne”, l’evento-novità organizzato con Luciano (Pignataro), è riuscito al termine o quasi di questa frenetica tre giorni a risollevarmi. Anzi quell’iniezione di entusiasmo sembra aver accresciuto in me, adesso che è finita, quel sentimento di tristezza e di depressione che in questo momento mi attanaglia. Sembra come quando ti fai un tiro di cocaina che una volta passato l’effetto sprofondi nel buio più totale. Per qualche secondo, nella mente, mi balena l’idea di un “Piccole Vigne in tour” giusto per non spezzare l’incantesimo di quegli attimi e ritrovare nuova linfa ed energia. Invece no. Da domani mi aspettano le degustazioni per la Guida ai Vini Buoni d’Italia. Si ricomincia. Centinaia di vini in pochi giorni compiendo un rituale già visto e rivisto tante volte, troppe, in cui sempre meno mi ci ritrovo e di cui sono sempre più saturo e stanco: bevi, valuta, sputa!. Poi smetto, mi prendo una pausa. Mi do una scadenza, il 4 giugno, subito dopo il Tigullio Meeting, promesso. Mi riprometto un periodo “senza vino” come l’avrò promesso chissà quante volte, ormai, a mia moglie che non ci crede più o forse non ci ha mai creduto. Mia figlia (tre anni) quando vede una qualsiasi immagine riconducibile al vino dice istintivamente “il vino di papà” non importa chi, cosa o quando. Quello è “il vino di papà”. Ripenso a quello slogan. No, il vitigno NON è, non può e non potrà mai essere business. Almeno il vino secondo me. Si ricompongono davanti ai miei occhi il volto e le mani di Vignaioli veri come Pino Carrozzo e Giuseppe Fortunato (di Contrada Salandra). Uomini che ho incontrato, tra alberate puteolane ed alberelli pugliesi, a spaccarsi il culo in vigna. Mi riempio di orgoglio ogni volta che penso a loro e di potermi vantare di aver camminato, insieme a loro, le loro vigne. Sì, lo so, anche loro il vino lo devono vendere. Mi immagino buyer senza scrupoli, come chiamano oggi i moderni mercanti del vino, avvicinarli ed assaggiare i loro vini, dirgli prima ancora di mandarne giù un sorso o averne ascoltato le storie che i loro prezzi sono cari, fuori mercato per la tipologia, buoni, ottimi ma come tanti. Esattamente l’opposto di quello che a me interessa cioè raccontare proprio la singolarità di quelle storie: storie di fatica, sudore e amore per la terra. Nella cantina di un altro vignaiolo vero di Taurasi campeggia una cartello malandato e scritto a mano: vino=territorio+vitigno+uomo. In quanti minuti è possibile raccontare un territorio, quanti ne occorrono per descrivere un vitigno e la storia di un uomo. Quanti ancora per comprendere la magica combinazione di questi tre elementi. Per tacere dell’imprescindibile rapporto di un vino con il cibo. Non quello degli abbinamenti teorici, dei manuali che non servono, perché ogni vino ha il suo di cibo. Ebbene come fare a riassumere, condensare, comprimere, triturare tutta questa bellezza nei pochi istanti di un frettoloso assaggio. Fortunatamente c’è ancora chi quelle storie le vuole ascoltare ed ha il tempo e la sensibilità per apprezzarle. Chi il vino lo compra e lo vende pure, sicuramente anche per business, ma prima di tutto per passione. Piccole vigne, artigiani del vino, ecco la meta ed allo stesso tempo il punto di partenza da cui ricominciare. Quello che vale ancora la pena di raccontare. Amen!.

Fabio Cimmino

Noi delle piccole vigne…

Ventiduemaggioduemilasetteorediciottoeventisei. Ho appena finito di caricare in macchina i vini che ho cambiato con le ultime mie bottiglie rimaste. Mi piace alla fine di eventi come questi lasciare e ricevere bottiglie, perché ciò che rimane, al di là delle conoscenze commerciali che, aimè, sono importantissime sempre, sono gli incontri con le persone, con i loro caratteri e il loro modo di rapportarsi al vino, così diverso, che mi rimangono e accrescono ancor più in me quello spirito che alcuni anni fa mi ha fatto innamorare di tutta questa piccola grande storia che è il vino. Io che porto la mia Sicilia, i suoi colori, la sua forza; Ciro e Rita Picariello, con i loro sorrisi e il loro spirito campano contadino e generoso. La loro terra: Summonte. Il loro fiano, tradizionale e buono, come quello, seppur diverso, di Guido Zampaglione nella terre di Calitri, il Don Chisciotte, intenso anche per quel suo colore, frutto di una lunga macerazione, e per cui accattivante già solo agli occhi. I cantucci inzuppati nel Lambiccato di Longo, in un momento di fame dolce e ancora la timidezza rassicurante di Raffaele Boccella e di suo fratello, gli occhi dei quali, senza bisogno di parola alcuna, mi hanno comunicato il loro orgoglio di aver fatto questo Aglianico 2005. Prima annata…emozionati di fronte ai primi assaggi da parte di un pubblico che non conosci e allora ti chiedi: ....ma gli sarà piaciuto a quel tipo? In effetti ne ha voluto ancora un po’… Questo è ciò che mi rimane dentro di un salone come Vitigno Italia, al di là delle presenze in alcuni momenti mancate, al di là delle discussioni, al di là anche di qualche azzuffatella che ha reso tutto un po’ più piccante.. al di là delle fette di prosciutto di Parma e dell’allegria che ha pervaso in tre giorni l’area Cooking for wine gestita in maniera ammirevole da Luigi Cremona e Lorenza Vitali. Ciò che mi rimane sono gli occhi della gente, quella buona intendo, le loro mani, le loro teste, in uno scenario che è Napoli, città di storia e di storie, città di mare e di provincia. Dove la vita regna nei quartieri più strani, quartieri del sud, abbandonati, incompresi, ma luoghi che vengono animati di continuo da storie di gente che ha vissuto e forse conosce solo questi luoghi e per cui chiusi lì dentro inconsapevoli, ma figli orgogliosi dei loro posti e della loro gente. Grazie a eventi come questi, ho sempre la possibilità di vivere mondi diversi, conoscere realtà intense che ogni giorno inconsapevoli le une delle altre vanno avanti nei loro giorni, ma tutte unite da un'unica passione che è quella per la terra, per i suoi frutti e per la gente che ne fa parte. Al prossimo anno.

Arianna Occhipinti

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mercoledì, maggio 23

Terra Santa: report di una serata!

Il presente articolo, per la data in cui è stato scritto e pubblicato, non si riferisce alla nuova gestione del ristorante Terrasanta. (n.d.r. aggiornata al 1.9.2009)
Questo è un post light, semplicemente perchè il Maiale non ha tempo, tantomeno spazio, da dedicare a ciò che non gli piace.
E' sabato sera. Sono più o meno le ventidue. Tre tavoli (compreso il nostro) sono occupati da commensali, il resto della sala è vuota. Ciò che altrove potrebbe essere un grandissimo pregio, si trasforma irrimediabilmente in un tristissimo e "difettante" presagio...
Tutto cambia, è vero. Il cast dell'Osteria Terra Santa sul Santuario di Materdomini a Nocera Superiore, ormai non è più lo stesso, di conseguenza la musica è cambiata. L'assenza di Raffaele Vitale (ora Casa del Nonno 13), pesa e si fa sentire a cominciare dell'impatto visivo e dall'effetto scenico; il locale non è più bello come una volta, è trascurato a differenza di come può apparire in foto e si presenta come un luogo in totale decadenza e in discesa libera verso il fallimento. L'accoglienza è inaccogliente, il servizio è pressappoco approssimativo, l'ospitalità ormai è estranea a questo posto, non appartenendogli più neanche alla lontana!
Soprassediamo ed entusiasti ci lanciamo ugualmente nell'ordinazione, nella speranza che lo chef Giuseppe Ruotolo riesca ancora a regalarci un lieve e lontano ricordo del tempo che fu, ma purtroppo deve proprio esserci qualcosa che non fuonziona più, la magia è finita.
Arriva al tavolo un antipasto pessimo (quasi da rispedire al mittente), subito dopo un risottino di asparagi molto fiacco, con una tartara di gamberi (purtroppo non freschi! e che tartara è?), seppur con una bella prova di apertura con un'elisir al presunto furore bianco di Marisa Cuomo.
Nel corso della cena, almeno un paio di volte, il proprietario tracanna vino Tavernello da un brik; poi si addormenta per la siesta con la testa poggiata sul tavolo: la visione è desolante e chi mi conosce sa che nel riportare gli accadimenti non esagero mai!
Ordiniamo un vino campano dalla carta, ma è esaurito; proviamo con una seconda bottiglia, ma anche quella non c'è, così malauguratamente facciamo fare al sommelier (?): arriva al tavolo un aglianico da grande distribuzione servito ad una temperatura sbagliata. Ci rifacciamo con un Valpolicella che in carta è quotato 40€, ma che a fine serata inspiegabilmente pagheremo 100€, fortunatamente risulta essere la cosa migliore della serata, anche se la conservazione lascia molto a desiderare. Il secondo, un baccalà arrostito, purtroppo proprio non ci emoziona, ed è un peccato perchè qui nell'agro-nocerino-sarnese è cosa assai strana e rara.
Bilancio finale più che negativo, decidiamo di non concedergli neanche un'altra chance, l'augurio è che lo chef possa proseguire il suo percorso altrove e che la gloriosa storia di Terra Santa si fermi qui per non sfiorare il ridicolo...
prezzo: 90€ per mangiare in uno dei peggiori posti del centro-sud.
ovviamente il Maiale è democratico e i commenti sono sempre liberi e aperti.

Giacinto Chirichella

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lunedì, maggio 21

Insalata di patate e peperoncini verdi + Carote al finocchio

Questo è un post doppio!
Maggio. Pomeriggio di sole e tramonto sul mare.
Le spiagge della Costiera Amalfitana già accolgono i primi turisti e bagnanti locali. Si sta bene, c’è poca gente e il mare ancora s’offre selvaggio e fresco, quando il sole scompare dietro le montagne e poca brezza avvolge la spiaggia. Rimaniamo in silenzio ad osservare il tramonto, poi, lentamente, lasciamo la spiaggia e ci dirigiamo verso casa. Classica acquolina in bocca, classica esclamazione “sarà l’aria di mare” che ci fa sorridere. Facciamo una doccia e col viso arrossato e gli occhi luccicanti apriamo la dispensa, apparecchiamo la tavola. Patate, carote, spezie, pane cafone rigorosamente cotto a legna (lo prendiamo ai Camaldoli) e una buona bottiglia di rosso che mettiamo in una caraffa di terracotta precedentemente raffreddata in frigo. Poca voglia di stare ai fornelli e tanta fame! Prepariamo questa insalata profumatissima, alla quale abbiniamo del caprino fresco, poi le carote che accompagniamo con piccoli bocconi di pane. Terminiamo la cena con una coppa di fragole e ciliegie, un sorso di limoncello di Sorrento e Chet Baker in sottofondo, tra le chiacchiere gonfie di sonno di una bella giornata trascorsa.

Insalata di patate e peperoncini verdi

Ingredienti x 4 persone

400 g di patate
200 g di peperoncini verdi
2 cucchiai di olio d’oliva
Sale q.b.

Lessare le patate, pelarle e tagliarle a fette; adagiarle poi in una insalatiera. Eliminare il picciolo ai peperoncini, lavarli, asciugarli e friggerli nell’olio senza farli scurire, per evitare che acquistino un sapore amarostico. Versare i peperoncini bollenti con tutto l’olio sulle patate, mescolare ed aggiustare di sale. Accompagnare l’insalata con fette di pane casereccio.
Carote al finocchio
Ingredienti x 4 persone

½ kg di carote piccole
2 cucchiai di semi di finocchio
1 dl di aceto bianco o di mele
4 cucchiai d’olio d’oliva
Sale e pepe q.b.

Lavare accuratamente le carote dopo aver tolto il gambo e la punta. Scottarle in acqua bollente per pelarle quindi tagliarle a rondelle non troppo sottili e rosolarle nell’olio aggiungendo i semi di finocchio pestati. Salare e pepare, cuocere a fuoco moderato. In cottura versare di tanto in tanto un po’ di aceto facendolo, via via, evaporare. Avere cura di effettuare una cottura breve. Impiattare e lasciar riposare prima di servire.
Stefano Tripodi

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giovedì, maggio 17

Taurasi Cantine Lonardo: appuntamento al buio!

Questo è un post a quattro mani!

Metti un martedì sera in via Coroglio, al numero 39. Metti un martedì sera a Bagnoli, poco sopra Città della Scienza (tanto per capirci!). Siamo al Moses, qui dove dall'alto si gode una visione tutta meticcia e contemporanea: il chiaroscuro post-industriale dell'area dismessa dell'Italsider e il magico scenario dei Campi Flegrei.
Cos'altro aggiungere? Una pizza gustosa, una ricercata materia prima e una buona selezione di vini (ho intravisto anche il nostro tanto amato Faro Palari dell'architetto Salvatore Geraci). Da andarci ab-so-lu-tely!
L'occasione è ghiotta, una gran verticale di Cantine Lonardo, Contrade di Taurasi. 7 bottiglie: dall'annata 1998 alla 2003, includendo le due riserve 00 e 01 (nell'infelice 2002 Sandro ha deciso di non uscire con la DOCG!). 2 batterie (4+3) alla cieca, una sequenza davvero azzeccata. Di questo Taurasi e della grandiosa 2001 riserva ne avevamo saggiamente già parlato qui nel nostro tributo all'aglianico che sfida il tempo. E' l'occasione per avere una conferma: questo vino durerà a lungo. Di sicuro però sono le annate '98 (su tutte!) e '99 ad essere davvero da pelle d'oca. Belle Solide, robuste, eleganti e sicuramente ancora carichissime di racconti e di doni. Una buona 2000 riserva e una 2003 base ancora in evoluzione, da riprovare sicuramente per studiarne le dinamiche e le variazioni da attribuire anche ai 4 mesi di macerazione e alle nuove botti. Sicuramente non un Taurasi qualunque, ma una forte espressione territoriale con un unico filo conduttore coerente, ma con tutte le differenze che madre natura ci regala.
Ancora una conferma: la sfida Barolo / Taurasi è tutta da giocare!
Ci salutiamo sul finire con l'augurio e la promessa (pazienza conservativa permettendo!) che l'esperienza si ripeterà tra dieci anni con le stesse bottiglie quali protagoniste della piacevole serata. La scheda completa dell'intera verticale scritta dal buon Fabio Cimmino la trovate qui.
G.

Una serata è gradevole per diversi, svariati motivi.
Ai punti di vista più ampiamente condivisi si vanno ad aggiungere quelli strettamente individuali, più intimi. Una degustazione – diciamolo – corre il rischio di diventare irrimediabilmente scocciante per l’eccesso di ragione ed intelletto messi in atto. Super tecnicismi, enologi “preparatissimi” e giornalisti la cui memoria visuale già svicola tra titolo, sottotitolo e colonna del pezzo di domani, frenano letteralmente la possibilità di stare, semplicemente e prima di tutto, bene tutti quanti insieme. La degustazione di martedì sera è stata una serata gradevole. Lo hanno pensato tutti, credo, nel profondo. Il mio è stato un approccio di tipo valutativo-osservativo. Sapevo di non essere all’altezza – non sono un intenditore di vino – e così ho affidato ai sensi il compito di guidarmi attraverso ciò che man mano andava accadendo. Con mia grande sorpresa ho scoperto avere sensi molto reattivi, riuscendo più o meno ad individuare tutte le annate proposte in quello che è stato un vero e proprio appuntamento al buio. “Il vino”, ho pensato dopo i primi assaggi, “mette davvero tutti d’accordo!” L’ovvio imbarazzo iniziale di non conoscersi tutti è venuto giù man mano che la discussione prendeva forma; che il vino andava aprendosi; che il corpo ed il cuore andavano riscaldandosi insieme alle chiacchiere di ognuno di noi. Tutto quanto c’è stato di più “tecnico” è venuto fuori in armonia, senza esagerare, lasciando comunque che il cuore e l’Uomo avessero l’ultima parola. Così abbiamo bevuto ottimo vino – la 98 e la 2001 riserva le metto al primo posto – ascoltato la passione delle parole di Maurizio De Simone, conosciuto – e finalmente! – Luciano Pignataro e Fabio Cimmino, Adele (Viola Melanzana) e il simpaticissimo Enzo Pagliaro, storico giornalista e grafico del Mattino. Il locale, il Moses, è davvero incantevole. La vista, metà mare, metà post-industriale, lascia i brividi e la cortesia e la professionalità sono di casa. Il Maiale Ubriaco rientra a casa con un bilancio più che positivo. Peccato mancasse il nostro inglese mezzo sangue di cui però tanto si è parlato (ironia della sorte una sedia vuota proprio accanto a Giacinto). Il Maiale apprende e porta a casa. Speriamo presto di poter organizzare un evento tutto nostro. Un evento in cui Uomo e convivialità vengano prima di tutto, ed il vino, al solito, unisca gli animi e riscaldi la serata. Per adesso grazie a tutti, grazie di cuore.

Ste

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domenica, maggio 13

Mangiamo la primavera

La primavera dà i suoi frutti e noi cosa stiamo aspettando? Lasciate sui banchi dei supermercati le "primizie" e le "tardizie" da serra e mangiate ciò che la natura offre in questo momento.Vi propongo alcune delizie stagionali e mentre le leggete tenete sempre a mente questo proverbio (che è sacrosanta verità): Da novello, tutto è bello; da stagione tutto è buono. Forse troverete alcune varietà poco conosciute. Non preoccupatevi, le troverete anche al supermecato, basta cercarle... Provate a mangiarle e vi daranno le loro soddisfazioni... garantito!

Agretto
Pianta erbacea appartenente alle crucifere, coltivata per il consumo in foglie fresche. Si consuma cruda in insalate miste.
Aneto
Aromatica di cui si utilizzano foglie fresche o semi essiccati. E' più piccante del finocchio ed è simile al cumino e all'anice. Abbinatelo con verdure cotte, minestre, carne e pesce. Sbizzarritevi provandolo anche negli aceti aromatici.
Asparago
Ne trovate diverse tipologie: molto grossi, sottili, bianchi, violacei, verdi. Scartate ovviamente il gambo e mangiate solo i germogli. L'asparago svolge un'interessante azione drenante a livello dei reni. E' un buon aperitivo, lassativo e ricco di vitamine. Provateli anche crudi, a listarelle, nelle insalate miste.
Barba di frate o cima d'aglio
Si consumano le foglie (filiformi e piene). Hanno un sapore agliato ma gradevole. Consumatela cotta e condita in insalate oppure ripassatela in padella.
Bietola da coste
Ortaggio da foglia. Sono diuretiche e contengono molto ferro. Avete mal di stomaco o siete stitici? Allora dovete necessariamente provarle. Consumatele cotte anche nelle zuppe, nei risotti o nei ripieni.
Carciofo
Ortaggio che a seconda delle varietà può avere spine o meno, può essere verde, giallino o violetto. Effetti benefici? Sul fegato...vi depura (altro che Rocchetta!). Oltre che cotto, provate a consumarlo crudo. Fatevi un bel pinzimonio eliminando le foglie più coriacee.
Ciliegia
Non ve la descrivo perchè tanto sapete bene come è fatta. Forse, quello che non sapete, è che ha proprietà diuretiche, lassative, disintossicanti e mineralizzanti. Consumatela fresca se ben matura. Se per caso avete una pianta di ciliege a polpa amarognola...non preoccupatevi, consumatele facendole cuocere prima.
Insalatine primaverili
Usate cicoria da taglio, lattuga, pasqualina, raperonzolo e tutto ciò che di primaverile vi viene in mente quando sentite la parola insalata. Inutile ricordarvi che le insalate apportano una grande quantità di fibre che vi servono per "andare di corpo".
Cipollotto
E' la cipolla prodotta da seme e raccolta prima del suo completo sviluppo. Insalata e pinzimonio sono ideali col cipollotto.
Fragola
La fragola depura e non ha molte calorie, che non è un vantaggio da poco! Quelle che trovate al mercato prima o dopo la primavera, sono fragole insipide e acidule. Se riuscite, provate a coltivarle (anche in vaso se non avete il giardino!) e sentirete che bontà!
Nespole
Piccolo pomo a forma sferica o ovale. Possiede notevoli qualità astringenti. Viene consumata come frutta e utilizzata per le conserve.
Patate novelle
E' una patata che viene colta in anticipo. Ha un sapore dolce e consistenza dura. Si presta bene a cotture in forno (provatele intere e con la buccia!).
Piselli
Legume diffusissimo ricco di fosforo, vitamine e fibre. Devono essere consumati cotti.
Cicoria da radice
E' anche detta cicoria amara. E' una varietà di cicoria coltivata per poterne mangiare le radici. E' un alimento nutriente, facilita la digestione, è rinfrescante e diuretico. Consumatelo solo cotto. Siccome è un alimento molto amaro, se volete diminuire questo sapore, dopo aver sbucciato la radice, lasciatela a riposare per qualche tempo in acqua fredda.
Rapanello
Ortaggio di cui si consuma la radice. Consumatelo crudo in insalata o pinzimonio (non togliete mai la buccia ma lavatela accuratamente). Se volete aumentare la sua naturale croccantezza, immergetelo in acqua ghiacciata per 15-20 minuti prima di servirlo.
Taccola
E' una varietà di pisello raccolta molto giovane. La varietà verde è tipicamente primaverile mentre quella bianca è tipicamente estiva. Potete cucinarla intera oppura tagliata a pezzi.

Mi raccomando, non sottovalutate mai il sapore, la consistenza e le qualità nutrizionali dei prodotti stagionali. Ogni cosa ha il suo tempo!

Eve

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venerdì, maggio 11

Il Signore del Fiano: da Antoine Gaita, Villa Diamante

Iniziando a parlare di vini bianchi – il caldo torrido che si prevede per quest’estate lo impone – parto dal mio preferito, quello che gelosamente conservo nella mia cantina in tutte le annate che sono riuscito a reperire.
L’azienda Villa Diamante si trova a Montefredane, paesino in provincia di Avellino sulle cui colline trovano sede anche le aziende Vadiaperti e Pietracupa, una zona altamente vocata alla produzione del Fiano.
L’occasione di scrivere di quest’azienda mi è data anche dalla recente visita che, insieme ad alcuni amici e colleghi di Antoine Gaita dell’università di enologia di Avellino, ho fatto presso l’azienda. Antoine Gaita, classe 1954, è persona dalla lucida intelligenza, l’ironia sottile, la passione smisurata e la giusta dose di insana follia che appartiene ai geni o ai fanciulli. Il viso bonario, la mole consistente, il sorriso pronto, la lingua sciolta, sono i primi aspetti che ho potuto notare appena fatte le presentazioni, mentre in un bar gli altri facevano colazione e lui mi parlava del suo prossimo progetto: la produzione di un Aglianico da invecchiamento, un Taurasi per capirci, affinato almeno nelle intenzioni per 18 mesi in barrique di grana medio fine. Oltre a questo Taurasi in cantiere ci sono la Cuvee Enrico, una piccola partita di Fiano dell'annata 2000 riposta in due barrique scolme per due anni e all’aria per i successivi tre, nell’intento di far sviluppare la "flor", il velo di lieviti che contribuisce alla creazione di alcuni dei più famosi e complessi vini del mondo come il Vin Jaune de Savagnin dello Jura, che questo bianco ricorda e che a breve sarà in commercio per soli 800 fortunati; un aglianico rosato e un vino bianco ottenuto da uve greco.
Ma iniziamo dalla vigna. È questo, così come sempre dovrebbe essere, il plus che fa la differenza e che rende il Fiano di Villa Diamante unico, inimitabile, dai tratti peculiari particolarissimi, riconoscibile in mezzo a cento. Non si tratta di un unico vigneto, ma di piccoli appezzamenti vicini tra loro posti a 400 metri sul livello del mare che arrivano nel loro complesso ad un’estensione di circa 1 ettaro. La parte più giovane ha piante di 7 anni circa allevate con il sistema del Guyot e 6.000 ceppi per ettaro. La parte più vecchia ha piante di 25 anni d’età, con 1.000 ceppi per ettaro. Come mi ha fatto notare Antoine gli appezzamenti hanno un’esposizione nord- nord ovest, completamente opposta a quella che è considerata la migliore. Il segreto di questo Fiano, della sua sostenuta mineralità, dei suoi peculiari aromi terziari di erbe officinali, pietra focaia, dal finale tagliente e quasi metallico, sarebbe da ricondursi ad uno strato di roccia che si interpone tra quelli argillosi definito in zona “sassara”, presente nella vigna vecchia.
Dalla vigna in cantina il passo è breve. Gli interventi sono pochi, non si filtra, né si chiarifica, si utilizzano lieviti selezionati per la fermentazione (sembrerebbe che si tratti di un lievito utilizzato, almeno in zona, unicamente da quest’azienda), si affina quasi esclusivamente con l’utilizzo del solo acciaio (anni fa esisteva una versione del Vigna della Congregazione affinata in barrique sui lieviti).
Aglianico d’Irpinia 2004: messo in commercio tra i 15 e i 20 euro, aglianico per l’85%, e altri vitigni per il restante 15% provenienti da viti vecchie 80 anni site in Paternopoli, prodotto in poco più di 1.200 bottiglie, è un sorso dissetante e corroborante. Il frutto è fresco e ricco, morbido, vellutato sul palato, ma grasso e denso allo stesso tempo nel cuore al momento di deglutire. Ciliegie, un contorno lieve di spezie appena appena accennate che pizzicano il palato con l’aiuto di un' acidità sottile e presente. Il tannino felpato, già ammansito, suadente, carezzevole come seta. È un rosso rubino denso, carico, dai riflessi violacei, brillante nel bicchiere. È godurioso, avvolgente, emozionante, affascinante. Affinato in solo acciaio è, insieme a quello di Alessandro Caggiano, il miglior aglianico d’Irpinia che abbia bevuto nell’ultimo anno.
Fiano Vigna della congregazione 2005: questa bottiglia, uscita in commercio da poco più di un mese, è stata da me bevuta, in una degustazione comparata con il Fiano pari annata di Guido Marsella – colui che di anno in anno contende la palma di miglior fiano ad Antoine –. Ed è in quest’occasione che si sono rivelate le differenze tra le due etichette, e soprattutto tra i due terroir, quello di Montefredane e Summonte. Il Fiano di Marsella si caratterizza per un’opulenza, una grassezza, note affumicate, un centro bocca ampio ed elegante. Quello di Antoine Gaita, per la sua mineralità, e le note di castagna secca, suo marchio di fabbrica. Al momento, però, va scritto che il Fiano di Villa Diamante ha un equilibrio ed un’eleganza straordinarie, quasi inusuali. A mio parere, al momento ha dimostrato solo in parte le sue potenzialità, ed un ulteriore affinamento in vetro non potrà che portargli giovamento. In enoteca tra i 15 e i 20 euro.
Fiano di Avellino 2004: non si tratta del “Vigna della Congregazione”, ma di un’etichetta nata per una leggera sovrapproduzione di uve avvenuta nell’annata. Così nasce questo vino, poco più di 1.300 bottiglie, un vero affare, considerato il costo – tra i 9 e gli 11 euro in enoteca –. Ricalca le caratteristiche del “Fratello Maggiore”, con un carattere più selvaggio e meno elegante. Al naso meglio che al palato, dove paga dazio in termini di persistenza.
Fiano vigna della congregazione 2004: dulcis in fundo, l’annata che, tra le ultime, preferisco. Sia al naso che al palato la nocciola e la castagna secca emergono, ma la mineralità, con sentori di pietra focaia, è predominante e l’acidità sostenuta. Insomma è il fiano che più di tutti mostra le caratteristiche peculiari della vigna da cui proviene e di cui io mi sono innamorato. Persistenza infinita e commovente.
Al di là dei gusti, un vino unico, “artigiano” come scritto in retroetichetta, che merita quanto meno l’assaggio. Durante la visita Antoine mi ha detto: “La gente ha bisogno di sincerità” ed “I vini si fanno col cuore”, non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.
Ringrazio Antoine Gaita e Diamante Maria Renna per la disponibilità, la gentilezza e l’ospitalità.
Buone bevute a tutti.

Sede a Montefredane, Via Toppole. Tel. 0825 30777, fax 0825 22920. antoine.gaita1@tin.it Enologo: Antoine Gaita. Ettari: 3,5 in conversione biologica. Bottiglie prodotte: circa 10.000. Vitigni: fiano, aglianico.


Taccuino di un giovane bevitore di Mauro Erro

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mercoledì, maggio 9

Spaghetti alla chitarra con fave e guanciale

Weekend nella capitale per assistere al concerto dell'anno.
Poi tutto il circuito del festival fotografico romano ed un salto, obbligato, alla galleria nazionale d’arte moderna. Prima del concerto, tardo pomeriggio, ci infiliamo in una delle piccole trattorie in zona Cavour. Piove e abbiamo voglia di chiacchierare e rilassarci davanti ad una bottiglia di vino. Ordiniamo un tagliere di formaggi e salumi e un piatto di verdure miste. Ci portano anche una piccola porzione di fave, condite con cipollotto fresco, olio e timo. Così penso a questa ricetta, un piatto povero della nostra cucina dal sapore delizioso. Alcuni di voi ricorderanno quanto abbiamo scritto in passato a proposito di fave. Se desiderate conoscere i significati simbolici legati a questo prodotto cliccate qui. Oggi invece le cuciniamo in maniera piuttosto veloce, spadellando un bel po’ e servendo subito portando in tavola la padella ancora bollente. Come dire: tradizione + echi d’elettroacustica in questo piatto semplice ed immediato.

Ingredienti x 4 persone

250 g di fave fresche
400 g di spaghetti alla chitarra Garofalo
1 cipollotto fresco
1 fetta di guanciale
Timo appena colto
Olio extravergine
Sale e pepe q.b.

Sbollentare le fave quindi scolare e privarle del guscio calloso. Cuocere gli spaghetti in abbondante acqua salata, nel frattempo soffriggere in padella il cipollotto tritato grossolanamente e il guanciale tagliato a cubetti e privato della cotenna. A cottura ultimata scolare la pasta e conservare in un recipiente una parte dell’acqua di cottura. Saltare in padella gli spaghetti aggiungendo le fave, il pepe, una presa di timo tritato al momento facendo legare tutto con poca acqua di cottura. Impiattare in tavola ancora fumante.

Stefano Tripodi

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lunedì, maggio 7

fagioli alla maruzzara con cozze


Finalmente una nuova ricetta. Il maiale ubriaco ha trovato il modo di rientrare in cucina, dove fragranze, sapori e piccoli oggetti lo ammaliano, avvolgono come in un sogno e lo fanno sentire a suo agio. Nella sua piccola cucina il maiale agisce indisturbato, rovistando fra gli scaffali, alla ricerca di quegli ingredienti che ancora una volta, a tavola, possano regalargli attimi di intenso piacere. A volte fa sorridere, il maiale. Curioso il modo in cui si fermi ad osservare ogni piccolo dettaglio, in contemplazione, come se quella che stesse per portare alla luce fosse una vera e propria opera d’arte. Ma lo sappiamo ormai che la sua cucina è semplice, onesta e senza pretese…forse è questa la cosa che amiamo di più.
Oggi una ricetta appartenente alla tradizione della cucina napoletana, facile da trovare e gustare in ogni angolo della città partenopea. Dalle piccole locande ai piedi del Castel dell’Ovo in riva al mare, al cuore del rinomato quartiere Chiaia, fino agli ingarbugliati vicoli del centro storico di Mezzocannone. I fagioli alla maruzzara sono alla base della cucina povera di Napoli, simbolo di quotidianità. Noi ci abbiamo aggiunto la cozza, frutto di mare dal gusto forte, un accostamento per niente audace e già utilizzato in altri piatti della tradizione locale.
Se ne avete la possibilità scegliete per questa ricetta dei fagioli spolicarielli (spolichini) , cannellini novelli reperibili da maggio a settembre in varie zone della Campania (Vesuvio, Isola d’Ischia, Casertano). In caso di difficoltà, dei tondini andranno più che bene.

Ingredienti

500 gr di fagioli freschi
1 costa di sedano
3 spicchi d’aglio
10 pomodorini maturi
200 gr di cozze
7 cucchiai di olio extravergine d’oliva
sale
pepe
origano
peperoncino fresco

Lessare i fagioli con il sedano, gli spicchi d’aglio, i pomodorini, 4 cucchiai di olio extravergine ed una presa di sale. A fine cottura (circa un’ora) aggiungere un pizzico di origano, un peperoncino tagliato e pezzetti e lasciar riposare per qualche minuto.
Intanto a parte, far soffriggere uno spicchio d’aglio con il restante olio extravergine, aggiungere le cozze, pepare, coprire con un coperchio e lasciar cuocere per pochi minuti.
Solo a questo punto i due ingredienti potranno essere uniti in un piatto da portata, pronti per il fatidico incontro, accompagnati da caldi e profumati crostoni di pane ed un profumatissimo calice di vino bianco.

Remo Morretta

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sabato, maggio 5

Fuori dal Vinitaly! secondo round: Triple A, Villa Favorita, Vini Veri.


Renaissance des Appellations / Triple A (Ca’ Scapin, S. Maria di Zevio, Verona)
Il primo è un movimento che fa capo a Nicolas Joly, guru odiato-amato della viticoltura biodinamica nel mondo, a cui i produttori aderiscono sulla base di una carta di qualità fatta di precetti in parte filosofici e in parte viticoli e enologici.
Più o meno simile è il discorso Triple A: Agricoltori, Artigiani, Artisti, che fa riferimento a un vero e proprio decalogo ideato da Luca Gargano della Velier che è anche il distributore nazionale dei vini “Triple A” e sponsor principale della manifestazione.
In entrambi i casi ci si rivolge a una agricoltura che non utilizza chimica e che in cantina non fa uso di lieviti selezionati, né di enzimi, né utilizza tecniche di manipolazione dei parametri naturali del mosto (zuccheraggio, acidificazione e disacidificazione, minimo utilizzo di solforosa, nessuna chiarifica o filtrazione all’imbottigliamento, ecc.). In poche parole tutto l’opposto di quello che si fa nelle cantine di tutto il mondo. Per tutti i dettagli si può visitare il sito www.coulee-de-serrant.com di Joly oppure www.velier.it.
Circa ottanta le aziende presenti, divise in due sale rigorosamente separate. Al piano di sotto gli italiani e gli spagnoli, chissà perché confinati nella sala peggiore (dovere di ospitalità? ma i poveri spagnoli che c’entravano?), al piano di sopra gli altri, la maggior parte francesi, nella sala spaziosa, luminosa, dove si riusciva a respirare.
Intorno ai tavoli aleggia un po’ lo spirito commerciale della manifestazione: oscuri figuri si aggirano tra le bottiglie e presidiano alcuni punti strategici forti dell’etichetta che mostrano sul pass: Agente Velier. Scoraggiati ci teniamo alla larga da questi novelli jamesbond dato che siamo venuti solo per assaggiare i vini e non per stipulare contratti con chicchessia. Bellissime le foto in bianco e nero dei vignaioli presenti che facevano da sfondo ai tavoli di degustazione, bruttissimo il ristorantone prefabbricato tipo matrimonificio che ospitava la manifestazione.


VinNatur (Villa Favorita, Monticello di Fara di Sarego, Vicenza)
La madre di tutte le scissioni, due in due anni, il luogo da cui è partito tutto il movimento dei vini veri, naturali, o come volete chiamarli. A questo luogo da quattro anni salgo - la scalinata d’ingresso alla villa vale già il viaggio - con la sensazione di entrare in un luogo che racchiude in sé un’idea del vino diversa, a cui cerco sempre più di avvicinarmi per cercare di comprenderla. Saranno questi saloni affrescati, la luce che filtra dalle enormi finestre, i labirintici sotterranei disseminati di produttori, l’atmosfera rilassata di dialogo e il sorriso che vedo sulle labbra di tutti - sarà anche il vino, vabbè - ma ogni volta che scendo quelle scale per andarmene non ho il coraggio di guardarmi indietro.
Quest’anno a sottolineare che questi vini non si bevono e basta ma vanno anche pensati è stato organizzato un incontro con Pierre Paillard, ricercatore e pioniere della biodinamica in Francia che rifiutando nella presentazione la qualifica di professore si è definito un semplice “elettrone libero”. Al suo fianco Carlo Petrini per pubblicizzare la manifestazione svoltasi il 15 aprile a Montpellier e che ha riunito per la prima volta i vignaioli in lotta contro la riforma del settore vitivinicolo europeo che potrebbe porre definitivamente fine al mondo contadino per far spazio all’agroindustria come è già successo nel resto del mondo. Finito l’incontro tutti i produttori prendono silenziosamente posto e cominciano a offrire i loro vini ai visitatori.
Cosa accomuna i circa settanta produttori? Qua non ci sono decaloghi o giuramenti da rispettare anche sotto tortura: Angiolino Maule, produttore locale e mente organizzativa della manifestazione ogni anno invita i produttori, che per la maggior parte sono comunque biologici o biodinamici. Ma non c’è una legge assoluta, inderogabile. Sono tutti sul sito www.villafavorita.it.


A ViniVeri (Villa Boschi, Isola della Scala, Verona) terza parte della scissione avvenuta quest’anno che ha mantenuto il nome originale, non sono potuto andare. Tutte le informazioni sui produttori presenti sono sul sito www.viniveri.net.
Di tutti i vini che ho assaggiato che dire: grandi cose, altre medie, altre piccole. Normale come in tutte le degustazioni. Non è mia intenzione fare liste con giudizi, voti, numeri, vaniglie e sottoboschi dal retrogusto animale. Mi sento di dire che di quasi tutti i vini che ho assaggiato ho un bel ricordo. E poi ogni anno fuori dal Vinitaly ci sono solo cose belle.
Dice Joly: un vino biodinamico non sempre è buono, ma sicuramente è sempre vero. Vero.

Enrico Bachechi

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Fuori dal Vinitaly!


A un mese di distanza dagli appuntamenti fieristici nazionali dedicati al mondo del vino, pubblichiamo un report critico sulle manifestazioni di nicchia a cui ci sentiamo maggiormente legati. Una bella quarantenne maremmana (vite ovviamente!) ci sembrava il miglior modo per introdurre l'argomento. Continua il viaggio enologico.
Il Maiale Ubriaco presenta Enrico Bachechi, enologo con la V maiuscola.


Critica-Critical!
Immaginate un Vinitaly senza il caldo infernale dei padiglioni in cemento armato, con i vini alla giusta temperatura e non sulla soglia della pastorizzazione, senza i sorrisi tirati dei produttori, quando ci sono, o più facilmente delle stendiste, che prima di darti un bicchiere ti chiedono chi sei, che fai, da dove vieni, hai un biglietto da visita?
Qui invece nessuno ti chiede niente, si versa il vino senza indugiare, ci si parla tranquillamente, senza cravatte claustrofobiche o scollature debordanti; le persone dietro ai tavoli hanno facce normali, vestono normalmente come tutti i giorni, spesso hanno anche le mani sporche, o meglio macchiate, dalla terra, dall’olio del trattore, dal vino. Immaginate un Vinitaly senza tavolini appartati con noiosi compratori giapponesi o americani con gli occhi a mezz’asta, ormai al cinquecentesimo vino - tutti e cinquecento regolarmente sputati - che appena entrano loro nello stand tu rimani solo e te ne devi andare. Qui non ci sono trattative, si tratta solo per il gusto del vino e difficilmente ti viene voglia di sputarlo.
E poi ci sono i vini: ma qui si devono dimenticare le classiche regole imposte dall’industria del vino e veicolate dai sommeliers, dalle guide, dalle scuole, dalle università, dalla scienza ufficiale insomma. Fuori dal Vinitaly un vino può non essere del tutto limpido, può puzzicchiare un pochino, può avere la volatile che sfiora il grammo/litro, può essere un po’ ossidato, può avere sentori di Brettanomyces, ma comunque essere un grande vino. Si scopre che si possono fare grandi vini bianchi senza controllarne la temperatura di fermentazione e magari lasciarli macerare sei mesi sulle bucce e magari anche in un’anfora interrata. Tutto questo però si scopre solo fuori dal Vinitaly.
Il vino si fa sì con il vitigno, con il terroir, con la cantina, si fa con tante cose ma la più importante è che il vino che noi versiamo nel bicchiere sia vivo, in grado di trasmettere la sua personalità, la sua originalità rispetto agli altri. Questi vini non marciscono nei magazzini o nelle superofferte al supermercato, la maggior parte di questi vini è venduta anche prima di essere imbottigliata.
Un terreno che non conosce chimica, uve che non abbiano subito la violenza dei prodotto sistemici e dei lieviti selezionati chissà dove; vinificazioni senza additivi né trattamenti di varia chirurgia estetica: solo così oggi si può fare un vino che sia credibile.
La strada della qualità, al di là dei dogmi, dei comandamenti o dei decaloghi è già segnata. Questi vini hanno creato una spaccatura che difficilmente si potrà richiudere.



Critical Wine/Terra e libertà (Centro Sociale Occupato Autogestito La Chimica, piazza Zagata, Verona)
Il primo movimento che ha avuto il coraggio di portare alla luce in modo chiaro e politico il problema vino, per la prima volta a Verona, con grande successo, quattro anni fa. Adesso si chiama Terre ribelli/critical wine, tanto per chiarire che si muovono anche le parole e non solo le idee.
Da un’invenzione di Gino Veronelli nasce come movimento nei Centri Sociali legato ad alcune idee come quello del “prezzo sorgente” da indicare in etichetta per impedire gli assurdi ricarichi sul vino e le “De.Co.”, Denominazioni Comunali che per semplice delibera dei consigli comunali valorizzano e tutelano i giacimenti gastronomici del proprio territorio.
Dalla morte di Veronelli il movimento ha sicuramente perso parte della forza che gli veniva dal carisma dell’ideatore: molti produttori, soprattutto quelli più di fama, o aspiranti tali, si sono velocemente eclissati ma fortunatamente altri si sono aggiunti con grande entusiasmo. Critical Wine rimane sempre un luogo di dibattito e di aggregazione unico nel mondo del vino, anche se il movimento si allarga sempre più verso lotte fatte per la tutela e la salvaguardia dei territori rurali. I locali fatiscenti del CSOA “La Chimica” creano un’atmosfera surreale in cui convivono armoniosamente contadini appassionati, punk con mute di cani al seguito, adolescenti attratti dal vino buono e al giusto prezzo, enointellettuali eternamente divisi tra nebbiolisti e sangiovesisti. Tutti però rigorosamente con calice in mano, un po’ barcollanti ma con aria da grandi intenditori.
Anche se di prezzo sorgente non si parla quasi più (chi ha mai visto un vino con il prezzo in etichetta?) e le De.Co non de-collano, Critical Wine rimane la voce più libera nel mondo del vino, slegata da ogni etichetta o logica di mercato: ci si va perché ci si crede. E basta. Da seguire attraverso il sito www.criticalwine.org gli appuntamenti che si susseguono nel corso dell’anno in giro per l’Italia.

continua...

Enrico Bachechi

giovedì, maggio 3

Denazzano 2006 "Paestum" IGT Aglianico rosato di Luigi Maffini


A me il rosato non piace!
Credo sia necessario introdurre così (in maniera brutale e violenta!) queste righe e fornire in qualche modo una chiave di lettura per chi costantemente segue il Maiale...
Come spesso ho detto, ritengo che nel mondo del vino bisogna provare, osare, lasciarsi andare e confrontarsi, senza soffermarsi troppo a pensare: per noi umili bevitori l'azione deve sempre precedere il ragionamento e la riflessione, sennò che gusto c'è? no?
L'estate è alle porte e le temperature incalzano. L'invito lanciato da Aristide per il sesto appuntamento de Il Vino dei Blogger mi sembra una più che interessante occasione per compiere una prova.
La scelta ricade su di una primizia: Denazzano, il rosato di Luigi Maffini, un aglianico rosato. Questa 2006 è la prima annata commercializzata. La bottiglia l'ho recuperata all'Enoteca Torrefazione San Pietro, qui a Salerno, al costo di 6,50 euro (iva 20% inclusa).
Stappato fresco ad una temperatura di 13 gradi il vino inizialmente si presenta quasi trasparente, poi col calore prende colore, e inizia a vivere. E' giovanissimo e certo questo si sente, del resto non ci voleva poi tanto. E' molto estivo, delicato, abbastanza minerale ed ha una freschissima vitalità. E' contadino, profumato ed ha una buona beva. Vino allegro, buono, leggero e dalla minima punta acida. Stimola l'appetito senza troppi complimenti.
Fantastico apripista per lunghi pranzi domenicali e cene hot! Aperitivo ideale: fa testa a testa con un antipasto di salmone.
A temperatura ambiente poi evolve e il vino dimostra di esserci tutto: diventa più grasso e grazie alla maggiore ossidazione sembra quasi speziato. Per essere un rosato è bello spiritello, dal momento che siamo sui 13,5 % e prima o poi si sa, l'aglianico viene sempre fuori.
Provo a fargli accompagnare una grande linguina con colatura di alici fatta in casa dalle sapienti mani di una anziana cetarese. Vado avanti con un pesce all'acqua pazza.
La prova è superata ottimamente: inizia a piacermi, inizio a prenderci gusto!

Giacinto Chirichella

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