lunedì, maggio 10

www.maialeubriaco.com



Finalmente ci siamo! Il Maiale Ubriaco 2.0 è arrivato. Più di un anno di lavoro, centinaia di appuntamenti Skype, migliaia di mail inoltrate, una tesi di laurea, troppe cene di mezzanotte e pranzi luculliani. Tanti i chilometri percorsi, le idee buttate sul tavolo, quelle lasciate in caldo, i lucciconi agli occhi per una creatura che si avvia verso l'adolescenza. L'Associazione Culturale Il Maiale Ubriaco è il modo migliore per scendere in campo. Oltre il web e le divagazioni di sempre. Un vecchio amico che ritroverete sulle nostre pagine a scrivere di vino ci aveva visto giusto. Il Maiale ha messo le ghette, s'è tolto un pò di fango dalla cotenna (poco!) e ha preso a incamminarsi verso il mondo reale. A farsi evento, a farsi mondo, a vivere con garbo l'illusione di un cinematografo o il ronzio della campagna. Ad impreziosire il tutto, a cucirgli il vestito buono, il nostro graphic designer, valore aggiunto, le cui illustrazioni danno vita all'Ebbro Suino. E lo vedrete tra un pò e lo vedete qui sopra mentre ubriaco come i suoi padri sorvola il mondo interrogandosi, gettando uno sguardo profondo sulla realtà che lo circonda, quasi lo invade. Il Maiale Ubriaco recupera il segno e diventa MU. Il che fa anche tanto zen, ma lasciamo perdere adesso. Lo sguardo è più intenso, ora è il territorio, in quanto concetto ed oggetto della contemporaneità, che abbisogna di essere indagato. L'occhio è vitreo, la fame incalza nel brontolio dell'anima. L'Ebbro Suino è il paladino dall'armatura splendente, nell'iconografia popolare della tavola come veicolo e prodotto dello scambio culturale? Mon Dieu! Toccherà scoprirlo. E per gli esterofili? Niente paura. Il Maiale è sempre stato bilingue. Sarà che la storia dei grassi, nelle regioni gastronomiche europee, lo ha visto impegnato in eterne riflessioni ed etiliche visioni. Raccontatelo a tutti, gridatelo in coro. Il Maiale è tornato e gode di ottima salute. Navigatelo tutto, danzateci dentro, scopritene il senso e bevetene il sangue. Che sia un rapporto viscerale, da succhiarne via gli occhi ed amarne lo charm. Perchè è vecchia come il cucco ma calza sempre a pennello: del Maiale non si butta via niente!

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martedì, aprile 20

Ragguagli d'aprile e gomitoli di cibo: ultima verticale del Maiale!


Ghiotta verticale del Maiale la settimana prima di Pasqua. I nostri si sono riuniti nel milanese per definire gli ultimi raddrizzamenti di una creatura che grassa ingrassa e alle volte davvero sembra difficile da gestire. Uno sguardo alle illustrazioni che presto vedrete pubblicate, una sessione approfondita sul nuovo sito - ora posso dirlo con forza - questioni tecniche, identità visiva, manifesti, brochures, locandine, il MU in inglese! Intanto si assaggiava un ottimo amaro, il Braulio Riserva Speciale Millesimata. Una notte un Catulliano di Pratello, Lugana d.o.c. (discernite vinum) mi ha fatto svenire dall'emozione e la Riserva affinata in botti di Porto di Sibona ancora racconta, dal bicchiere alle narici, l'inverno che è stato, appena morto nei cappotti da poco svestiti. Il Maiale, in pompa magna, in uno shooting in Oltrepò scappa a mangiare da Righini, antica trattoria senza menù dove il menù sono le mani della signora Ines, piccola, tenera e dolce matrona che da più di 30 anni rappresenta un pezzo di storia di Inverno e Monteleone, provincia di Lodi. Lardo, lodigiano, raspadura, coniglia all'aceto, polenta con fichi, castagne, funghi e gorgonzola, anatra, codone di manzo, vitello e cinghiale. Vino di San Colombano prodotto appositamente per la trattoria, bianco e rosso, sincero e di buon ceppo. Un sorbetto all'ananas preziosissimo a sgrassare tutto per poi ricominciare. Così, alla rinfusa, anche 4 primi di cui uno con selvaggina. E in ultimo, un immancabile magnum di grappa artigianale per concludere un emozione durata oltre 4 ore. Così facendo arriva la Pasqua e 2/3 dell'Ebbro Suino si rintana nelle Marche, dove, in una eterea resurrezione, continua il lavoro di messa appunto. Un evento importante ci vedrà in giugno protagonisti, ma facciamo ancora i preziosi. Proseguono anche gli assaggi. Segnaliamo Ca'Maddalena, Fermignano, agriturismo biologico con produzione di maiali di cinta e marchigiana. Il buon gusto, l'affabilità e la qualità dei prodotti ci hanno stordito. Come la quantità di distillati da provare a fine pasto accompagnati dai dolci secchi fatti a mano. Ad Urbino, particolarmente, la Degusteria Raffaello, propone un'ottima selezione di vini marchigiani di gran pregio ed una birra di Sassocorvaro la Cotta, di un buono ma di un buono che con il lardo locale è uno spettacolo. C'è poi una doppio malto che, fresca ma ben strutturata, bevuta su di una buona tagliata profumata, complice la vista del territorio urbinate, solo due passi lascia prima di finire dritti in paradiso! Insomma cos'altro dire, la pancia è ancora piena. Una riflessione forte la merita il territorio italiano. Nelle Marche il segno individuato da Mario Giacomelli, sublimato e regalato a tutto il mondo, è ancora vivo e spettacolare. Il mare di Senigallia, seppure in una giornata incerta e piovigginosa, è poesia per chi lo sa ascoltare. Tracce di via Emilia in Lodi Vecchio, mentre il verde dei prati acceca per la saturazione, ignorate dai più sono preziosi granuli di un territorio che si sovrappone, si stratifica ma è ancora lì e si sente. Questo è quanto signori, anzi è poco, ci vorrebbero ore ed ore per recuperare tutte le sensazioni e poi trasmetterle. Noi ci rivediamo presto su queste pagine. Io vi lascio con una domanda: avete mai provato un orgasmo da cibo?

Stefano Tripodi

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domenica, marzo 7

Pasta Madre project


Questo è un post riflessivo!
Pane sprecato. Pane congelato. Pane che il giorno dopo è immangiabile. Ad inizio 2010 molti giornali hanno approfondito la questione. In Italia si buttano via 4.000 tonnellate di cibo ogni giorno. A Milano 180 quintali di pane al giorno finiscono nell'immondizia. La maggior parte del pane che compriamo non consente la conservazione. Così spesso viene congelato, la conseguenza è la perdita delle proprietà nutritive. Moltissimo pane da supermercato, lo si legge sulle confezioni, va consumato in giornata. Avete presente la baguette della Standa? Quella che era una caratteristica dei francesi oggi è un modello europeo. E qui casca l'asino, nel senso, sono in grado di darvi una buona notizia. Mi hanno girato una mail del circuito Slowfood, attraverso la quale scopro l'esistenza del Pasta Madre project che ha l'obbiettivo di comunicare che un altro pane e un'altra pasta sono possibili. Per adesso trovate qualcosina qui, il canale youtube ufficiale del progetto. "Ai giorni nostri l'ignoranza sulla filiera del pane ha raggiunto i suoi picchi più preoccupanti, tanto che parecchi nostri figli non hanno mai nemmeno attraversato un dorato campo di grano, ma hanno conosciuto questo frutto della Provvidenza attraverso filoni pre-affettati in vaschetta e lievitati da fast-food." E' tutto scritto lì, date un'occhiata ai filmati dell'evento, sappiate che è in programmazione un docu-film e che ricche sorprese in merito sono previste per il 2011! E voi, intanto, pretendete e comprate pane ottenuto da pasta madre, ovvero dalla lievitazione di sole pasta e acqua di ottima qualità. Ovvio, bisogna sbattersi un pò, cercare il pane migliore. In Italia, per fortuna, abbiamo ottime produzioni. Potrete conservarlo a lungo avvolto in un canovaccio di cotone pulito. Signori miei, forza. Combattiamo la pigrizia del supermercato sotto casa. Vi aspetto con nuovi aggiornamenti. Del resto il pane è archetipo e metafora di tutto il nostro mondo alimentare. E non solo.

Stefano Tripodi

foto: Mario Giacomelli/La buona terra - 1964-66

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sabato, febbraio 6

Torta di nocciole & limoni di Amalfi

Questo è un post a 4 mani!
Succede che mezzo sangue del Maiale è in giro per lavoro negli Emirati Arabi e tra una partenza e un arrivo trova il tempo per confezionare questo splendido dolce. Io ho il compito di metterci le parole, senza trascurare dettagli importanti circa ingredienti e abbinamenti. Le nocciole, infatti, provengono da un passato giro nelle Langhe, la ricetta originale, solo limone, è di Salvatore De Riso, i cui dolci oramai sono conosciuti in tutta Italia e anche all'estero. Credo che la specialità di questa preparazione sia da ricercare tutta nella delicatezza che esprime. Eleganza. Semplici ingredienti e mani sapienti. Remo in una mail suggerisce di rammentare l'abbinamento. Una grappa riserva delle distillerie Sibona (Piobesi D'Alba), ricavata da monovitigno moscato e affinata in botti da madeira. Un altro breve richiamo al Piemonte e all'immancabile binomio stagionalitá-territorio. Le cose in cucina nascono così. Idee appuntate, ricordi, esperienza, ingredienti raccolti o ricevuti, viaggi, suggestioni e tempo per pensarci. Noi che ci prendiamo il lusso di andarci piano, noi che il tempo di una cena non è inferiore alle 3 ore di tavola, dove si chiacchiera e ci si corrobora con il cibo, noi desideriamo che il tempo sia un nostro alleato e che ci suggerisca il momento migliore per regalarci. Questo dolce, credo, nasce da queste intenzioni, dai vapori delle idee macinate lentamente. Io ho immaginato Remo, nella sua cucina nell'Hampshire, fuori il silenzio dell'intorno, musica classica dalla radio, una borsa disfatta sul divano e un calicetto di grappa sul tavolo. Questa è cucina. Questo si chiama equilibrio.


Ingredienti
160 g di zucchero a velo
130 g di burro morbido
2 uova intere
100 g di latte fresco
150 g di nocciole
80 g di farina
50 g di fecola di patate
2 limoni di Amalfi
1 baccello di vaniglia
5 g di lievito in polvere
2 g di sale
In una ciotola capiente montare a crema lo zucchero con il burro. Unire la scorza grattugiata dei limoni, il sale e la polpa di vaniglia. Incorporare le uova emulsionando con le fruste elettriche. A parte setacciare le farina, la fecola, il lievito ed aggiungerele nocciole precedentemente tritate. Al composto preparato aggiungere la miscela di farine, lievito e nocciole ed il latte. Versare l'impasto in piccoli stampi da plum cake precedentemente imburrati e infarinati. Infornare e cuocere a 160 C per circa 40 minuti. Lasciar raffreddare e prima di servire spolverare con lo zucchero a velo o bagnare con del profumato miele di castagno.

Foto & preparazione: Remo Morretta

Testo: Stefano Tripodi

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giovedì, dicembre 24

Carteddate & Sannacchiutili

Questo è un post goloso!

In un batter d'occhio siamo arrivati a Natale. Milano è impazzita di neve, avrete letto i giornali, mentre al sud la temperatura si è mantenuta gentile e solo qualche pioggia ha rallentato il solito tran tran. Quante cose vorrei scrivere, che imbroglio che è la mia testa. Sono molto dispiaciuto per come stanno andando le cose in giro. Dal vertice di Copenhagen ai convegni in materia di cibo, dalle questioni FAO cui accennavamo la volta scorsa, per arrivare a tutti noi, ai nostri singoli comportamenti e stili di vita. Di recente sono stato a Produrre e scambiare valore territoriale / scenari di ricostruzione territoriale fondati su neoagricoltura e nuovi stili di vita, organizzato dal Politecnico di Milano. Un confronto sulle esperienze delle reti sociali che connettono sovranità alimentare e territorio. Mi ha colpito - e non sono stato il solo - l'intervento di Domenico Finiguerra, presidente Ass. Comuni Virtuosi. I comuni, ha detto, devono tentare una scelta radicale e mettersi in discussione per cambiare davvero lo stile di vita dei propri abitanti. Un pannello fotovoltaico, ha concluso, non mette a posto la coscienza. Ma sospendiamo - che ne dite? - questa discussione per evitare di arrivare troppo lontano. Ne riparliamo dopo le feste, ci ritorniamo su, statene certi. Facciamo una cosa adesso. Mettete su un buon disco, io sto ascoltando questo, rilassatevi, togliete le scarpe e prendete nota. Le cartellate sono un dolce di tradizione pugliese. Il loro nome significa "sottili come una carta", proprio per il tipo di sfoglia che va tirata e che deve essere sottilissima. Ovviamente, come per ogni ricetta tradizionale, di varianti ce ne sono in quantità. Quella che noi vi proponiamo viene dal tarantino, è priva di dosi esatte ed è ricetta di generazioni. Tradizionalmente sappiate solamente che le cartellate vanno affogate nel miele o nel vincotto. Qui abbiamo scelto un ottimo miele prodotto in provincia di Caserta, mandorle dolci tostate e cedro candito. I sannacchiutili - dialettale di "si deve chiudere" - sono proprio della provincia di Taranto e potremmo facilmente accomunarli ai più noti struffoli. Anche per questi ultimi stessi ingredienti di guarnizione. Cambierà solo il modo di realizzarli "chiudendoli" nella tipica forma. Sono preparazioni povere e caloriche. Pare ci giungano dalla Grecia Antica, del resto Taranto è terra di Magna Grecia. Un pezzo di storia che ci piace fissare su queste pagine ed il modo, nostro, per augurarvi Buon Natale. Scegliete ingredienti genuini e di qualità. Prendetevi il tempo giusto per preparare la pasta, tostare le mandorle e lavorare il cedro - cosa che magari potete fare o aver fatto in anticipo in un altro momento. "La cucina è un linguaggio. Gli ingredienti e i prodotti sono i vocaboli che si organizzano secondo regole di grammatica, le ricette, che danno senso agli ingredienti trasformandoli in vivande. Regole di sintassi, i menu, ossia l'ordine delle vivande, e regole di retorica, i comportamenti conviviali. La cucina contiene e esprime la cultura di chi la pratica, è depositaria delle tradizioni e dell'identità di gruppo. Più ancora della parola, il cibo si presta a mediare tra culture diverse, aprendo i sistemi di cucina a ogni sorta di invenzioni, incroci e contaminazioni" [Massimo Montanari / Il mondo in cucina - storia, identità, scambi]. Il Maiale Ubriaco ci crede fermamente. Il Maiale vi vuole bene. Di nuovo Buon Natale da tutti noi.


Ingredienti
x la pasta:
500 g di farina 00
3 uova
1 pizzico di sale per ogni uovo
olio extravergine (per friggere)
x la guarnizione:
cedro candito
mandorle tostate
miele di girasole
codette di cioccolato
zucchero a velo

Impastare farina, uova e sale energicamente, lavorando la pasta fino a raggiungere la consistenza ottimale. Stendere la sfoglia, a mano, finchè questa non diventa sottilissima. Per le carteddate tagliarla a strisce di circa 5 cm con l'apposita rotella, quindi formare con ogni striscia il caratteristico fiocco. Per i sannacchiutili, invece, stendere un lungo cilindretto di pasta e poi tagliare piccoli pezzi alla maniera degli gnocchi. Riscaldare in un recipiente capiente l'olio extravergine, quindi immergere la pasta lavorata avendo cura che si indori leggermente. Porre a riposo in un apposito recipiente e intanto sciogliere il miele a bagnomaria. Lasciar scivolare una generosa quantità di miele su carteddate e sannacchiutili, poi una buona manciata di mandorle tritate e precedentemente tostate in forno. Infine cedro candito, codette di cioccolato e zucchero a velo.
N.B. Per il cedro candito seguite pure le indicazioni di Gennarino.
Questo post è dedicato al sig. Mario M. con affetto e stima!
Stefano Tripodi / in cucina: Anna P.

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martedì, novembre 24

Chiacchiere d'autunno: nostalgia dell'aver freddo.

Questa rubrica è un'altalena.
Si rinnova al ritmo dei pensieri e delle idee che trovano spazio sui taccuini della mente, dentro la massa adiposa dell'ebbro suino che svogliato se la cammina, se la beve e se la mangia. Poi si addormenta, cadendo in letargo cullato da sonni etilici, etiliche visioni. Al risveglio la lucidità che rimane è imbarazzante: frastornata dal vento di dentro che incontra e scontra quello di fuori. Il vento timido e costante di una Milano ancora calda e per questo atipica. Neanche il freddo è più quello di una volta, eh già. Al Design Cafè della Triennale, luogo di cultura e comunicazione, servono aperitivi a base di zucchine e melanzane. In pieno novembre, ed in piena temperie Expo. In una città dove inseriscono nell'elenco dei candidati all'Ambrogino d'oro Carlo Petrini. In un'epoca, questa, in cui il mondo intero è impegnato ad affrontare il tema della nutrizione e le grandi sfide dell'alimentazione per costruire il futuro, attraverso la promozione di un cibo locale e di stagione. Sempre la solita storia si. Dalla cucina della Triennale io, invece, mi aspetterei sfornate di risotti e ossobuco, tronchetti di polenta, funghi, carne di maiale, gorgonzola, broccoli e nocciole, mascarpone lodigiano e un bel bicchiere di Bonarda. E mentre il Gambero, avrete sentito, recensisce ristoranti inesistenti, da qualche altra parte l'idea che l'acqua possa essere privatizzata fa pensare che un diritto si trasformi in una merce. Ad abbracciare questi fatti, accadimenti, considerazioni, gli echi preoccupanti provenienti dal Vertice Fao, dove si è discussa la possibilità di istituire un codice di condotta per regolare l'accaparramento delle terre da parte degli investitori stranieri nei confronti dei piccoli agricoltori dei Paesi in via di sviluppo. Che tempi. Che bagarre. Già, come se prima fosse meglio. Ma prima è sempre meglio. In realtà il tempo trascorso regala nostalgia e rimargina ferite, fino al punto di tornare a percepire il presente come peggio dei tempi di una volta. A me piace pensare che siamo sull'orlo di una nuova rivoluzione. Del resto gli strumenti ce li abbiamo tutti. Nuovi guru e pure qualche totem. Cosa significa promuovere il cibo locale e parlare di città globale, come fa Milano, dove tutti, immigrati compresi, hanno diritto a realizzare la propria cultura materiale? Qualcuno dice, la nostra è una città Mondo. Allora dovremmo dare terra per vedere realizzate le culture materiali di tutti. Offrire spazio per esserci ed essendoci e coltivando nutrirci. Non fa una piega, per carità. Anche se questa consapevolezza, che è prima di tutto dei liberi pensatori, poi degli urbanisti, dei letterati e qualche volta dei politici, dovremmo poterla percepire tra le pieghe del quotidiano. Ed io sento che non è proprio così. Che ci sono sogni che sono stati abbattuti mentre altri non sono stati aiutati a crescere. Che le mafie governano i mercati e le sciure di Brera non hanno mica tanta voglia di bazzicare con collane ed orecchini, pellicce e cappellini dentro una città Mondo, gonfia di etnie, densa di odori e profumi diversi. Figuriamoci i loro figli e nipoti. Bisognerebbe ricordare loro che se non ci fossero le mondine cinesi a diserbare manualmente i campi nelle risaie di Novara, non si potrebbe garantire la produzione nazionale. Stessa cosa per il Parmigiano. I casari stranieri, come ce ne sono ad Antreola, provincia di Parma, garantiscono le eccellenze alimentari del nostro Paese. Sono circa 129 mila i lavoratori agricoli stranieri nel Belpaese. Stiamo parlando di quelli regolarmente registrati all'Inps. Ciò dipende anche dal fatto che gli italiani non vogliono più svolgere determinati lavori. Cosa interessante è che molti dei lavoratori immigrati iniziano a guadagnare ruoli di responsabilità nei lavori legati alla produzione di marchi Dop e Igp. Stiamo assistendo ad un cambiamento culturale molto importante. Gli stranieri acquisiscono il patrimonio delle conoscenze tradizionali storicamente trasmesso di generazione in generazione dentro le famiglie italiane. Patrimonio che altrimenti rischierebbe di scomparire. Questa successione delle tradizioni e delle culture materiali riempie un vuoto lasciato proprio da noi italiani. Io intanto osservo il tempo cambiare. In poche ore s'è riempito di nebbia. Mamma mia. Saranno state le mie riflessioni? I widgets del meteo sul mio Mac indicano sole pieno giù a Napoli e a Roma. Qualche sera fa pensavo alle città del nord dove c'è assenza di mare. E' come non avere mai la possibilità di contemplare l'infinito. Se sali sul Duomo contempli un paesaggio che tende all'infinito - almeno fotograficamente parlando - ma è sempre tessuto urbano. Nelle città di mare c'è la possibilità di lasciarsi l'urbano immediatamente alle spalle e ritrovarsi dentro un'apertura tipicamente leopardiana. Mi sono chiesto se ciò abbia un influenza sugli uomini, sui loro caratteri, sui modi del vivere, sulle tradizioni. Potremmo dire che nelle città di mare trionfa uno sguardo orizzontale mentre dove il mare non c'è l'unica via di uscita è il cielo, realizzandosi così uno sguardo verticale. Beh, son derive, derive della mente. Questa piccola non-antropologia finisce qui. Mentre nuove idee si fanno pensieri sfumati e la nebbia di Milano, diaframmando un pò con gli occhi socchiusi, a guardarla sembra mare. Mare in tempesta. I cavalloni d'autunno sulle spiagge di Maratea.
Stefano Tripodi
foto: Stefano Tripodi
© 2009

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lunedì, novembre 2

Budino di zucca & caramello

La zucca nel post! Cari lettori, ultimamente si parlava di stagionalità, territorio e cibo inteso come espressione culturale. Cibo vissuto, radice storica, atto estremo di socializzazione. Cosi oggi avremmo pensato ad un frutto strettamente legato alla tradizione popolare, grossa bacca carnosa dai molti semi e filamenti molli, creatura fiabesca, qualcuno lo chiama maiale dei contadini poveri. E siccome del maiale non si butta via niente (meno male) immaginatevi l’uso smisurato che della zucca riusciamo a fare nel nostro paese. Oltre alla polpa, utilizzata per risotti, zuppe, sformati e creme, i semi possono essere abbrustoliti e salati in superficie (i bruscolini della tradizione laziale) e la buccia affettata, bollita e fritta. La lista dei piatti sarebbe bella lunga dal pancotto marchigiano, ai tortelli lombardi per arrivare ai ficatu di sette cannuola di Palermo (questa la dovete provare). Io ho scelto un dolce, utilizzando una zucca comune o d’inverno, ma consiglio caldamente di provare delle varietà altrettanto pregiate come la Marina di Chioggia, la Mantovana e se siete al Sud la Lunga di Napoli! Vi lascio alla ricetta e alla poesia di un simpatico poeta scoperto per caso nei meandri della rete. Un abbraccio.

Daéa semensa impiantà
‘na succa cressarà,
là torno el
leamaro
o in cao aéa piantà.
Ghi nè de tanti tipi e gusti.
Suche bone cresse nel duro,
nel morbio soéo par darghe da magnare ai mas-ci.
‘Na volta se parlava de suche anca a scoéa,
i maestri bateva par vedare se a succa jera voda.
Aéa festa dei morti
la succa se svodava
rento un lumin se impissava
nel balcon se afaciava,
quanta fifa se ciapava
par la zente che passava.
La succa nasse in primavera,
cresse d’està,
la more in autunno.
La succa sà de fiò soe stae,
sora la stua a scaldare
mentre a zente jera a sgrafojare [Valerio]

Ingredienti x 6 persone

500 gr di zucca
2 uova
1/2 stecca di vaniglia
1/2 litro di latte
3 gr di zucchero

Lessare la zucca in acqua bollente, scolare e lasciare asciugare in forno. Sbucciarla, eliminarne i semi e passarla al passaverdura. Bollire il latte con 200 gr. di zucchero e la vaniglia, lasciarlo intiepidire e poi unirlo alla zucca e alle uova battute. Intanto caramellare il restante zucchero e distribuire sul fondo degli stampini, aggiungere il composto di zucca e cuocere in forno a bagnomaria, 180 C per circa un’ora. Lasciar raffreddare per qualche ora, sformare e servire.

Tratto da [L’orto. 720 piatti dall’aglio alla zucca – SlowFood Editore 2005]


Remo Morretta

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